lunedì 8 dicembre 2014

Il limite come progetto di incontro - Armonizzare processi organizzativi e dinamiche interpersonali

Da quando ho iniziato a utilizzare la TOC - theory of constraints - nei progetti di miglioramento che ho cercato di realizzare nelle aziende ho avuto la sensazione che agire sui processi organizzativi fosse solo una delle facce di una stessa medaglia.

Sia la TOC che l'approccio Deming danno per scontato che le persone abbiano in sè una naturale propensione per lavorare in modo ordinato, sensato, che permetta loro di provare "gioia nel lavoro".

Questa presunzione fa sì che sia la TOC che l'approccio Deming affrontino le resistenze al cambiamento molto di più dal punto di vista dei processi organizzativi che delle dinamiche interpersonali.

Provo a dirlo con altre parole; sia la TOC che Deming immaginano che raddrizzare (nel senso di rimetterli a fuoco e allineati con l'obiettivo comune) i processi organizzativi sia condizione necessaria e sufficiente per far cambiare le persone o meglio le loro dinamiche interpersonali.

La TOC mi ha insegnato che dietro a ogni presunzione, anche la più sensatamente innocente, si nasconde un potenziale constraint non fisico (cognitivo). L'esperienza ha confermato la teoria. In alcuni casi il raddrizzamento dei processi organizativi non solo ha incontrato resistenze ma anche ha esarcebato le dinamiche interpersonali.

Questo fenomeno appare più evidente e marcato nelle situazioni dove l'azienda passa rapidamente da uno stato di "tranquilla e inconsapevole" stasi a uno stato di competizione violenta, e di conseguenza dove è più rapido e profondo il cambiamento richiesto alle persone. Si crea così una interdipendenza tra miglioramento dei processi organizzativi e adeguamento delle dinamiche interpersonali su cui l'arsenale TOC + Deming poco può fare (checchè qualcuno sostenga).

Nel corso degli utlimi anni ho provato timidi avvicinamenti a professionisti e società che si occupassero di dinamiche interpersonali per tentare un'integrazione tra TOC + Deming e metodi per gestire le dinamiche interpersonali. Non è andata bene.

Nel frattempo il problema si è inasprito.

Qualche mese fa Linkedin mi ha fatto incontrare Evolve (http://www.evolveonline.it) e le persone che la costituiscono. Si occupano di dinamiche interpersonali. Ci siamo annusati, ci siamo piaciuti, ci siamo raccontati.

Il sospetto che anche per i professionsiti delle dinamiche interpersonali trattare solo una delle due facce del problema potesse essere un limite è diventato realtà.

E' un limite sia per le aziende che ci ingaggiano, sia per noi stessi.

E' nata così l'idea di provare a superare questo limite (trovare un metodo per armonizzare il miglioramento dei processi oprganizzativi e delle dinamiche interpersonali) o perlomeno di circoscriverlo nel migliore dei modi (in pura logica TOC).

Abbiamo deciso di fare un esperimento dal vivo, invitando una ventina di persone che dovrebbero vivere lo stesso problema in azienda, che dovrebbero avere anche un altro problema e cioè di avere due interlocutori per le due facce del problema (miglioramento dei processi organizzativi e delle dinamiche interpersonali).

E' nato questo workshop a cui stiamo invitando manager / imprenditori che debbano occuparsi o di processi organizzativi o di dinamiche interpersonali e che però subiscoano gli effetti di entrambi questi "fenomeni".

I processi organizzativi e le dinamiche interpersonali: due sguardi complementari si incontrano. Un'opportunità di sviluppo per le Persone e per le Imprese.

Giovedì 22 gennaio 2015 h 14.30 - 18.00

Partecipazione gratuita, su invito

c/p Unione Artigiani dela Provincia di Milano
via Doberdò 16, Milano MM Villa San Giovanni

Per essere invitati scrivere a claudio.vettor@winwin-consulting.biz


martedì 11 novembre 2014

Anche in edilizia prevenire è meglio che curare!!


Vi starete chiedendo ma che ci azzecca la TOC, le soluzioni win win con l'edilizia.

Pubblico questo post perchè trovo interessante il tema della prevenzione. E', nel suo campo, un minuscolo esempio di come costruire soluzioni win win non sia così difficile a patto di avere una "forte intuizione" della propria materia e essere ben orientati a risolvere i "conflitti" del mercato.



FALSI MITI RIGUARDO LE UNITA' IMMOBILIARI



Ho la scheda catastale aggiornata quindi la mia unità è regolare:

Nulla di più falso!! Il fatto di avere la planimetria catastale aggiornata e che  rispecchia lo stato di fatto dell'appartamento / ufficio / laboratorio / magazzino /  capannone NON significa che l'immobile sia in regola con i regolamenti urbanistici,  edilizi e sanitari vigenti.

Infatti il “catasto” non è per legge probatorio in quanto è affidata ai comuni tutta  la normativa di cui sopra per cui l'unico titolo abilitativo probatorio è un titolo  abilitativo comunale (Licenza Edilizia, Concessione Edilizia, Autorizzazione Edilizia,  Condono Edilizio etc.). Il CATASTO ovvero l'Ufficio del Territorio presso l'Agenzia  delle Entrate è semplicemente incaricato di CENSIRE gli immobili esistenti ai soli  fini fiscali.

L'unico caso in cui una scheda catastale ha valore probatorio del fatto che  l'immobile sia stato regolarmente realizzato è per le unità immobiliari edificate  ANTECEDENTEMENTE il 1942 e che non abbiano, da quella data MAI subito  variazioni (lo stato di fatto attuale deve corrispondere alla planimetria catastale
presentata ante 1942).

Nella e della mia unità immobiliare posso fare quello che voglio:

Altro falso mito. Ogni opera edilizia che necessiti l'abbattimento anche solo di un  tavolato divisorio interno è soggetto a presentazione di progetto in Comune a firma  di tecnico abilitato.

Anche l'uso dell'unità immobiliare non è di libero arbitrio ma segue una normativa  specifica ed in alcuni casi necessita di speciali autorizzazioni da parte dell' A.S.L.

Se divido l'unità con pareti in cartongesso non devo chiedere permessi in quanto sono pareti mobili:

Non è vero. Qualunque divisione interna o modifica che preveda la realizzazione di  tramezzi a tutta altezza necessita di presentazione di progetto in quanto vengono a  modificarsi i rapporti di areoilluminazione.
Inoltre una parete a tutta altezza anche se di cartongesso o di quelle in metallo e  vetro da ufficio sono stabilmente fissate per cui non possono considerarsi  pareti mobili.

Posso sempre chiedere il condono edilizio in caso di irregolarità:

Falso. Il condono edilizio non esiste più da 10 anni. Si possono sanare solo alcuni  tipi di irregolarità purchè le opere abusive siano conformi a tutta la normativa  vigente.
E' quindi meglio se chiedo una consulenza a qualcuno competente se devo  acquistare/vendere o anche solo affittare un immobile?:
Senza dubbio si! Ne vale sicuramente la pena per non trovarsi, in seguito, con  problematiche anche importanti come ad esempio aver acquistato un immobile per  la propria attività e poi non poterlo usare perchè non conforme a qualche  regolamento.   


Anche in edilizia prevenire è meglio che curare!!
 

Per ulteriori informazioni:
perito edile Fabrizio Prina
Via G.B. Bertini, 19 – 20154 Milano
mobile 3273806137
e-mail: studiotecnicoprina@gmail.com

sabato 8 novembre 2014

Teoria dei Vincoli di Goldratt (TOC) e performance management focalizzato


Teoria dei Vincoli di Goldratt (TOC) e performance management focalizzato

Giovedì 20 novembre 2014 – 16.30-18.30
Aula B - Unione Artigiani della Provincia di Milano
Via Doberdò 16 – Milano – MM Villa San Giovanni

La partecipazione al workshop è gratuita - Per informazioni info@metreeca.it
E' richiesta l'iscrizione online alla pagina www.metreeca.it/events/toc-workshop

Il workshop è un'occasione per rfiletetre su alcune domande chiave.

Gli indicatori (KPI) sui quali siete valutati e che utilizzate per governare l’azienda rappresentano adeguatamente tutta la complessità cui dovete far fronte?

Riuscite a intervenire come vorreste sulle cause profonde delle criticità che affrontate ogni giorno o siete assorbiti quasi completamente dalle urgenze e dalla necessità di spegnere incendi?

Tra voi e i vostri colleghi manager esiste consenso e condivisione sui problemi da affrontare e sulle relative priorità?

Il lavoro di squadra all’interno del management team in cui operate è all’altezza delle vostre aspettative?

Il workshop presenta metodi e strumenti per:

▪ individuare i KPI più adatti al vostro contesto e ai vostri obiettivi di business
▪ agire efficacemente in team con gli altri manager della vostra azienda per raggiungere insieme gli obiettivi di business
▪ individuare e rimuovere le cause profonde dei problemi ricorrenti

Agenda

▪ Introduzione
▪ Il caso Spedali Civili di Brescia
▪ TOC performance management
▪ Metreeca Path Finder
▪ Dimostrazione pratica
Discussione e conclusioni

E' richiesta l'iscrizione online alla pagina www.metreeca.it/events/toc-workshop

sabato 1 novembre 2014

Applicare la TOC - teoria dei constraints - in un ambito di produzione - episodio 2

Pezzullo un po' vintage, perchè scritto quasi vent'anni fa, ma che è ancora attuale.
Nell'episodio 1 abbiamo mostrato quale approccio alla produzione è stato sviluppato dalla TOC (teoria dei constraint) e quali risultati ha prodotto. 

In questo - episodio 2 - si discuterà delle barriere che si oppongono al cambiamento in ambito produttivo e di come la TOC può essere utilizzata per superarle.


Quando si tenta di mettere in pratica questo approccio, ci si trova di fronte un conflitto, quasi inevitabilmente. Le misure che comunemente vengono utilizzate dal management per valutare le prestazioni di un impianto fanno a pugni con la necessità di soddisfare i requisiti dei clienti. Il management trova molto difficile subordinare le azioni al conseguimento dell’obiettivo (cioè sul constraint), cercando di prestare uguale attenzione alle mille difficoltà e problemi che si presentano ogni giorno nell’impianto; l’assunto che sostiene che questo atteggiamento è esprimibile così: per ottenere l’ottimo globale occorre raggiungere tutta una serie di ottimi locali.

La situazione di questa categoria di manager è rappresentabile da questo piccolo albero della realtà corrente (nell’albero della realtà corrente ogni blocco è connesso a uno o più blocchi da relazione di sufficienza e/o necessità – dove si vede un ellisse -, l’albero si legge a partire dal basso, per esempio i blocchi 10, 50 e 15 si leggono così: se la gran parte dei manager gestisce gli impianti cercando di raggiungere ottimi locali allora ottenere un elevata efficienza locale è importante per i manager e i manager non sono completamente padroni dell’approccio TOC alla produzione…). L’albero della corrente è uno degli strumenti di pensiero sistemico ideati da Goldratt per supportare il cosiddetto POOGI (process of ongoing improvement – processo di miglioramento continuo)




Il conflitto che c’è alla base di questa situazione è rappresentabile con la nuvola (la nuvola è il meccanismo con il quale nella TOC si rappresentano i conflitti tra due posizioni) qui sotto riportata.




Questo conflitto si regge su di un assunto preciso, che possiamo anche riformulare dicendo che solo raggiungendo la massima efficienza di ogni macchina è possibile consegnare quanto i clienti ci hanno ordinato. I risultati non propriamente positivi che si raggiungono perseguendo l’efficienza di solito vengono attribuiti ad una serie di cause:


·      i clienti cambiano idea di frequente
·      i venditori promettono sempre tempi di consegna istantanei
·      ci sono problemi di assenteismo nel personale
·      il personale non ha gli skill necessari
·      i processi sono affetti da scarsa affidabilità
·      le macchine si rompono quando meno se lo si aspetta
·      la qualità dei prodotti non è il massimo
·      i dati che vengono forniti al management sono poco accurati
·      il management non sempre può adottare le politiche che vorrebbe


Tutte queste cause sono vere, ma, purtroppo per chi deve gestire gli impianti, non sono il problema centrale.

Tutte queste cause sono vere, ma, purtroppo per chi deve gestire gli impianti, non sono il problema centrale.
Nell’approccio TOC (drum buffer rope) il focus si sposta da domande del tipo: Com’è l’efficienza delle macchine, e quella delle persone, quanti setup si fanno, quanto grandi facciamo i lotti di produzione, e quelli di trasferimento? A tenere costantemente sotto controllo il buffer, di modo che ci si possa accorgere in tempo se il constraint rischia di rimanere senza materiale da processare.

Cos’è il buffer management? Dividiamo idealmente il buffer, che come sappiamo è espresso in tempo, in 3 zone di uguale dimensione:





 
In zona verde se il materiale è in ritardo devo solo verificare che arrivi, in zona gialla comincio a preoccuparmi del materiale in ritardo e si farà un po’ di expediting. Se si è in zona rossa (quindi molto vicini al momento in cui il materiale deve essere pronto) e il materiale è in ritardo, ci si ritrova con un buco (di produzione)

Gli impianti o per meglio dire i processi produttivi possono essere catalogati in 4 fondamentali tipologie: impianto ad A, a T, a V a I.
Ogni "stabilimento" è in effetti costituito da un mix particolare di una o più di queste 4 tipologie base.

Nel gergo della TOC (Teoria dei constraints) con il termine UDE (undesiderable effect) si indicano i problemi, quelle cose che disturbano il buon andamento di una qualsiasi realtà produttiva (sia esso uno stabilimento, che un ufficio viaggi). Questi "effetti indesiderabili" sono i sintomi di un problema più profondo e difficile da superare (che in gergo TOC si chiama core problem); un po' come la febbre è un sintomo di una qualche malattia. E come ogni buon medico sa, combattere i sintomi è sicuramente importante (specie quando la febbre è alta) ma è inutile se non si rimuove la "malattia"; una corretta diagnosi è la premessa indispensabile per una buona terapia. Il grande pregio del core problem è che essendo connesso logicamente a tutti gli UDEs, se lo si elimina si possono eliminare tutti gli UDEs.

La TOC mette a disposizione uno strumento potente con il quale si possono rappresentare tutti gli UDEs di una determinata realtà e quindi derivarne il core problem. Questo strumento si chiama CRT - current reality tree (albero della realtà corrente). In questo contesto non entreremo nel merito di come si costruisce ma ci limiteremo a descriverlo brevemente per essere in grado di leggere alcuni CRT che rappresentano la realtà delle  tipologie base di impianti.

Il CRT è un diagramma nel quale ogni UDE, rappresentato da un box, è connesso logicamente con uno o più altri UDE. Una volta derivato nel CRT è rappresentato anche il core problem; è riconoscibile perché è il box a cui, direttamente o indirettamente sono connessi tutti gli altri box.

Poter descrivere le problematiche comuni (UDEs) delle tipologie di base degli impianti attraverso un CRT consente di focalizzare rapidamente l'attenzione sul core problem e quindi di (avendo una corretta diagnosi) impostare la soluzione.

Un impianto a V presenta generalmente le seguenti caratteristiche:

·      ci sono poche materie prime/semilavorati che danno origine a un grande numero di prodotti finiti; in ogni stadio del processo un “prodotto” dà origine a molti prodotti.

·      tutti I prodotti sono realizzati nella stessa maniera e condividono delle risorse comuni

·      ci sono punti di divergenza nel flusso produttivo; dopo una lavorazione non si può tornare indietro (se si sbaglia non si può né riutilizzare né rilavorare)

In molti casi gli impianti a V sono ad alta densità di capitale con macchinari specializzati.

Quali sono gli UDEs, i problemi, che si trovano generalmente in un impianto a V? Elenchiamone un po’:

1.       i piani di produzione spesso subiscono variazioni;
2.       non sempre è possibile stabilire la convenienza di accettare/rifiutare un ordine;
3.       esistono conflitti tra le richieste dell’ufficio vendite e le disponibilità della produzione;
4.       lunghi tempi di attrezzaggio;
5.       il tempo di attrezzaggio di una macchina non è sempre “economicamente giustificato” dall’utilizzo della macchina stessa;
6.       il fermo macchina per l’attrezzaggio rappresenta un costo elevato;
7.       non è sempre possibile produrre in grandi lotti;
8.       pur massimizzando l’efficienza delle macchine non sempre siamo in grado di evitare ritardi nelle consegne.
9.       la qualità delle materie prime è molto disomogenea ;
10.  le materie prime rilasciate al processo per soddisfare un determinato ordine  hanno una bassa probabilità di completare questo ordine, probabilità che è tanto più bassa quanti più punti di divergenza ci sono nel sistema
11.  se un prodotto può risparmiare un setup e vengono prese misure che rinforzano questo comportamento la materia prima attraversa questo processo
12.  I prodotti tendono a dirigersi dove I risultati sono migliori (risultati come tonnellate al giorno, unità all’ora, cioè più prodotti per unità di tempo)

L’effetto complessivo di tutte queste cose è la cattiva allocazione dei materiali, aspettiamoci di vedere mucchi di cose (che non si muovono) e piccole quantità di cose (che si muovono), l’ordine di grandezza dei problemi dipende dal sistema d incentivi che viene utilizzato nell’azienda.

I problemi generati da questa realtà, esistono contemporaneamente e non è sufficiente eliminarne uno per migliorare significativamente i risultati aziendali.

Questi problemi, gli effetti indesiderabili presenti nella nostra realtà, sono spesso originati da una causa comune, da un problema centrale; questo, a volte, non è immediatamente visibile, è piuttosto da ricercarsi nella relazione che esiste tra gli effetti indesiderabili.

Questo avviene a causa della natura squisitamente sistemica delle organizzazioni. Infatti una organizzazione è una rete di elementi interdipendenti che interagiscono tra loro per il raggiungimento di un obiettivo comune. Tale natura sistemica fa si che agendo su una parte dell'organizzazione si producono effetti su tutto l’insieme.

Il disegno seguente, un albero della realtà corrente costruito sul conflitto fondamentale, mostra tutte queste interconnessioni in modo semplice e intuitivo


 
Il secondo albero che presentiamo affronta il tema della misurazione delle prestazioni. Mostra in sostanza come l’avere adottato dei sistemi di misura centrati sull’efficienza locale determini l’accadere di una miriade di effetti indesiderabili. L’albero si riferisce al settore dell’acciaio, ma è generalizzabile per tutti i settori dove gli impianti hanno una forma a V.

Proviamo a leggerlo insieme.

Si parte con la constatazione che nell’industria dell’acciaio, ogni reparto è valutato in base alla quantità di tonnellate processate per ora. La misura tonnellate/ora è la misura operativa principale (500)

Sappiamo tutti che le persone si comportano conformemente al modo in cui sono misurate (510) e quindi nell’industria dell’acciaio, non c’è da stupirsi se i reparti cercano di ottimizzare il loro rendimento in termini di tonnellate/ora (515)

Questa conclusione dove ci porta? Presa in se stessa potrebbe essere sensata ma se la mettiamo in relazione con altri fenomeni che si verificano in questo tipo di industria scopriamo che non è così.

Infatti: in quasi tutti reparti la lavorazione di alcuni pezzi richiede meno tempo per tonnellata rispetto ad altri (520). Per esempio, produrre 10 tonnellate di lastre spesse 2 pollici richiede assai meno tempo che produrre 10 tonnellate di lastre spesse 1/2 pollice

Ne risulta che: per ottimizzare la quantità di tonnellate/ora prodotte in un dato periodo, i reparti tendono a produrre i pezzi più “veloci” spendendo gli stessi soldi che occorrono per produrre i pezzi “lenti”(540).

La conclusione è facilmente immaginabile: grandi scorte di pezzi “veloci”, perdita di ordini sui pezzi “lenti”.

Se guardiamo ad un altro aspetto del problema vediamo che nell’industria dell’acciaio, in ogni reparto i tempi di setup sono significativi e, come sappiamo, il setup riduce la quantità di tonnellate/ora (525), infatti mentre si fa il setup la produzione è = 0 (530). Di conseguenza, per ottimizzare il rendimento in termini di tonnellate/ora, i reparti tendono a dare la precedenza agli ordini che permettono di aumentare la dimensione dei lotti (550)

Anche in questo caso: grandi scorte inutili, inaffidabilità rispetto ai tempi di consegna.

Per un reparto, la situazione peggiore è l’inattività -non produrre = 0 tonnellate/ora (525). Non c’è da meravigliarsi che, per ottimizzare il rendimento in termini di tonnellate/ora, i reparti tendano a produrre scorte anche quando non ci sono richieste di mercato nel breve-medio periodo (545), producendo scorte in eccesso.

Ma il vero killer si profila all’orizzonte... Negli impianti a V, il processo produttivo è caratterizzato da divergenza di prodotti ad ogni stadio della produzione (560). Se mettiamo in relazione quest’affermazione con i fenomeni che abbiamo descritto in precedenza (enunciati 540, 545 e 550), cosa otteniamo?

Per ottimizzare il proprio rendimento in termini di “tonnellate/ora” i reparti tendono a intraprendere azioni che si risolvono poi in “furto” di materiale a scapito degli ordini




 


domenica 26 ottobre 2014

Applicare la TOC - teoria dei constraints - in un ambito di produzione - episodio 1

Pezzullo un po' vintage, perchè scritto quasi vent'anni fa, ma che è ancora attuale.



In questo documento vengono trattati due elementi fondamentali e costitutivi di ogni pratica gestionale di successo in ambito produttivo. La necessità di determinare quali siano i fattori di successo nella conduzione di un impianto o di una fabbrica ha fatto sì che ogni anno venisse prodotta una mole considerevole di studi sulle migliori pratiche di management. 

In questo documento per prima cosa verrà mostrato quale approccio alla produzione è stato sviluppato dalla TOC (teoria dei constraint) e quali risultati ha prodotto. 

In secondo luogo si discuterà delle barriere che si oppongono al cambiamento in ambito produttivo e di come la TOC può essere utilizzata per superarle.


L'approccio TOC alla produzione va sotto il nome di Drum-Buffer-Rope (da qui in avanti si userà l'acronimo DBR), che è stato ampiamente descritto nei libri del dr. Goldratt L'obiettivo (The Goal nell'edizione originale), The Race e The Haystack Syndrome; a questi libri si rimanda per un ulteriore approfondimento dell'argomento.

Con l'aiuto di uno schema semplificato di impianto produttivo vedremo rapidamente nel seguito in che cosa consiste il DBR.



L'impianto "pilota" è molto semplice: ci sono 5 stazioni di lavoro (risorse) che in sequenza processano la materia prima che viene rilasciata all'inizio della catena, e la passano alla stazione seguente fino ad avere il prodotto finito. Nella realtà la catena non finisce qui ma continua fino al cliente finale, per il momento limitiamoci ad un ambito strettamente di produzione e quindi ipotizziamo che la catena termini con la produzione del prodotto finito.




Le consuete pratiche di gestione della produzione prevedono di rilasciare la materia prima, magari a lotti, di processarla tutta nella prima stazione e al termine del lotto di produzione di passarla alla stazione successiva, e così via fino ad ottenere il prodotto finito. Il tasso con il quale viene rilasciata la materia prima viene spesse volte influenzato da un certo numero di fattori quali la necessità di tenere occupate le stazioni di lavoro (cioè gli impianti), la domanda complessiva di prodotto finito, la dimensione degli ordini e altri fattori ancora. Ci sono però due elementi dai quali non si può prescindere quando si stabilisce il tasso di rilascio (ovvero la politica di rilascio) di materia prima: quello che chiede il mercato (la cosiddetta domanda) e le misure che sono correntemente utilizzate nell'impianto. Uno degli assunti di base delle pratiche di gestione della produzione è che la capacità produttiva di ogni stazione di lavoro è la stessa. Sappiamo però che anche in assenza di fluttuazioni statistiche potrebbe essere difficile ottenere un bilanciamento perfetto tra le diverse stazioni di lavoro. Inoltre nella realtà gli sbilanciamenti di capacità esistono e spesse volte sono anche molto pronunciati. Questi sbilanciamenti combinati con le fluttuazioni statistiche che si hanno in ogni processo fanno sì che nell'impianto si formino code di semilavorati, in genere di fronte alle macchine più lente. Uno degli assunti di base delle pratiche correnti è sostanzialmente infondato. La TOC fonda la sua capacità di individuare soluzioni breakthrough 8cioè soluzioni che facciano conseguire all’organizzazione che le adotta un drastico miglioramento delle sue performance) proprio nel sollevare sistematicamente gli assunti che stanno alla base dei comportamenti e nel chiedersi costantemente se hanno senso.



Inseriamo nello schema del nostro impianto pilota la capacità di ogni stazione di lavoro misurata in unità prodotte per giornata lavorativa (pezzi/giorno). 





E' ovvio che nelle realtà produttive le differenze di capacità non saranno così marcate, ma questa considerazione non va a inficiare la sostanza dei ragionamenti che ci apprestiamo a fare.



Nel nostro caso la macchina numero 4 è il constraint, infatti è ovvio vedere che è la macchina più lenta della catena e quindi quella che determina il tasso di produzione di prodotto finito e quindi, prescindendo da tutte le considerazioni sul mercato (ricordiamo che stiamo assumendo che il mercato assorba ogni prodotto che riusciamo a spedire), determina il risultato complessivo dell'impianto.



Ne consegue logicamente che quello che transita dal constraint dovrebbe essere allineato con la domanda del mercato e la schedulazione delle operazioni dovrebbe essere sincronizzata con le date di consegna richieste dai clienti. Questo fatto determina la schedulazione della macchina constraint, che in gergo TOC viene chiamato DRUM.



Il ROPE è la connessione tra il rilascio della materia prima e la schedulazione del drum.In poche parole il rilascio di nuova materia prima (alla prima stazione di lavoro) deve avvenire non appena il materiale è transitato per il constraint. In questo modo nell'impianto circola solo la quantità di materiale necessaria ad alimentare il constraint. Tutte le macchine non constraint devono solo processare il più velocemente possibile il materiale che si trovano "davanti", e in questo modo siamo sicuri di aver soddisfatto i requisiti complessivi della produzione: tempi di consegna, quantità domandata.



Il terzo ingrediente della ricetta DBR è il cosiddetto BUFFER. Il buffer in primo luogo è una quantità di tempo e non di materiale, come normalmente si è portati a ritenere. In sostanza il BUFFER è la quantità di tempo che intercorre tra il rilascio della materia prima alla stazione 1 e la data di consegna interna a valle della macchina constraint, determinata dalla schedulazione del DRUM. Nel nostro schema di impianto è la lunghezza della linea produttiva (in tempo) dalla macchina 4 al rilascio della materia prima.

Va poi considerato che essere capaci di garantire che il materiale raggiunga il constraint nel tempo stabilito non è sufficiente, se non si vende il prodotto finito non si otterranno utili, è necessario allora assicurarsi, al fine di ottenere un profitto, che il prodotto finito arrivi al cliente per tempo. C'è quindi un ulteriore elemento che deve essere determinato e cioè quanto tempo ci vuole per muovere il materiale dal constraint al mercato (possiamo dire che questo tempo è il vero time to market); questo tempo deve essere adeguatamente bufferizzato, e lo si fa con il cosiddetto shipping buffer.



In molti ambiti produttivi non è possibile identificare il constraint così facilmente come abbiamo visto sopra. E’ dunque necessario usare un approccio un po’ più raffinato, ma ugualmente efficace, disponendo all’inizio solo un buffer (shipping buffer), che viene calcolato sulla base delle date di consegna pattuite degli ordini dei clienti e del lead time complessivo della linea produttiva.



Una volta stabilito il buffer, attraverso la gestione di esso è possibile identificare il constraint interno e quindi schedulare la produzione in accordo con esso.



Questa appena vista è una breve descrizione del meccanismo fondamentale del DBR. Rimane un ultimo aspetto da affrontare, come far sì che i miglioramenti conseguiti con l’implementazione del DBR non rimangano statici, ma si inneschi un processo di miglioramento continuo. La risposta della TOC a questa istanza consiste nei 5 passi del processo di focalizzazione, aspetto che è alla base di ogni implementazione di drum buffer rope, insieme all’uso sistematico dei TP-tools (cioè agli strumenti di pensiero sistemico. Questi elementi forniscono il necessario grado di rigore scientifico all’analisi dei problemi e permettono di identificare i constraint non fisici, come ad esempio politiche o comportamenti. 

I 5 passi di focalizzazione sono i seguenti:



Passo 1 – identificare il/i constraint(s) del sistema



Identificare significa che si ha già un’idea di quale sia il fattore limitante le performance del sistema, la cosiddetta risorsa scarsa e si decide da quale partire; in questo passo non è importante avere una lista di constraint basata su qualche priorità, la lista dei candidati è molto molto breve, prima o poi dovremo confrontarci con tutti.

Ci vuole l’abilità di determinare attraverso l’osservazione e l’analisi dei dati (per una specifica introduzione alle tecniche di controllo statistico di processo si rimanda al documento di riferimento) la risorsa scarsa, che è il fattore limitante dell’impianto. Solo quando questa risorsa è stata identificata è possibile sviluppare una schedulazione basata sul DRUM. In gergo se la domanda del mercato è superiore alla capacità del constraint, questo viene anche chiamato bottleneck. Per poter schedulare il drum occorre conoscere il volume di prodotto richiesto giorno per giorno, e la distinta base di ogni prodotto.



Passo 2 – decidere come sfruttare il constraint



Poiché il constraint è il fattore che limita le performance non ci rimane che decidere come dobbiamo spremere dal constraint tutto quello che può dare. Sfruttare è quello che si deve fare, nulla di più nulla di meno. E se il constraint è esterno, cioè è il mercato – abbiamo abbastanza capacità ma non abbastanza ordini? Allora sfruttare significa fare tutte le consegne in tempo, non basta il 99%, ci vuole il 100%.



In ambito produttivo prima di fare qualsiasi altra cosa occorre spremere dal constraint ogni minuto di processo. Questo ha delle ovvie implicazioni sulle politiche di manutenzione, di ispezione qualità, ecc.



Cosa succede a tutti gli altri componenti il sistema?



Passo 3 – subordinare tutto il resto alla decisione presa al passo 2



Il ruolo di una risorsa non-constraint è assicurare che il constraint lavori nel modo migliore possibile in modo da massimizzare il throughput. Ciò significa che tutti i processi, le interdipendenze del sistema devono essere disegnati per ottimizzare il lavoro del constraint.



Se è il constraint che determina la capacità produttiva complessiva dell’impianto (e anche il profitto, purché siamo nelle condizioni che il mercato assorbe tutto quello che viene prodotto) nulla deve impedire a questa capacità di venire meno. Per esempio il rilascio della materia prima deve avvenire in accordo con la capacità della risorsa scarsa (constraint). Questo implica che nell’impianto gira solo quanto serve per alimentare il constraint (e quindi si riduce il wip al livello minimo per assicurare il massimo di profittabilità dell’impianto, scendere ancora di wip metterebbe a rischio la capacità produttiva del constraint e quindi metterebbe a rischio il profitto).



A questo punto siamo sulla strada giusta, ma non basta



Passo 4 – elevare il constraint



Elevare significa aumentare la capacità del constraint. Tutto quello che si poteva fare per ottimizzare il sistema è stato fatto, per incrementare il throughput è necessario elevare il constraint (che può voler dire più macchinari, più persone, ecc.).



Per rompere il constraint occorre aggiungere altre macchine o convertire le macchine presenti. E’ molto importante evitare che il constraint si sposti per effetto dell’aumento della capacità produttiva del constraint originale. Quindi l’azione di elevamento del constraint deve essere accompagnata da un’azione di elevamento della capacità degli elementi che alimentano il constraint stesso.



Passo 5 – Se nel passo precedente il constraint è stato rotto ritornare al passo 1



Questo passo è fondamentale per non farsi prendere dall’inerzia, Goldratt dice che se tu ti dimentichi del constraint esso non si dimentica mai di te!



Quando si tenta di mettere in pratica questo approccio, ci si trova di fronte un conflitto, quasi inevitabilmente. Le misure che comunemente vengono utilizzate dal management per valutare le prestazioni di un impianto fanno a pugni con la necessità di soddisfare i requisiti dei clienti. Il management trova molto difficile subordinare le azioni al conseguimento dell’obiettivo (cioè sul constraint), cercando di prestare uguale attenzione alle mille difficoltà e problemi che si presentano ogni giorno nell’impianto; l’assunto che sostiene che questo atteggiamento è esprimibile così: per ottenere l’ottimo globale occorre raggiungere tutta una serie di ottimi locali.

 MA QUESTA E' TUTTA UN'ALTRA STORIA, AL PROSSIMO EPISODIO