Da quando ho iniziato a utilizzare la TOC - theory of constraints - nei progetti di miglioramento che ho cercato di realizzare nelle aziende ho avuto la sensazione che agire sui processi organizzativi fosse solo una delle facce di una stessa medaglia.
Sia la TOC che l'approccio Deming danno per scontato che le persone abbiano in sè una naturale propensione per lavorare in modo ordinato, sensato, che permetta loro di provare "gioia nel lavoro".
Questa presunzione fa sì che sia la TOC che l'approccio Deming affrontino le resistenze al cambiamento molto di più dal punto di vista dei processi organizzativi che delle dinamiche interpersonali.
Provo a dirlo con altre parole; sia la TOC che Deming immaginano che raddrizzare (nel senso di rimetterli a fuoco e allineati con l'obiettivo comune) i processi organizzativi sia condizione necessaria e sufficiente per far cambiare le persone o meglio le loro dinamiche interpersonali.
La TOC mi ha insegnato che dietro a ogni presunzione, anche la più sensatamente innocente, si nasconde un potenziale constraint non fisico (cognitivo). L'esperienza ha confermato la teoria. In alcuni casi il raddrizzamento dei processi organizativi non solo ha incontrato resistenze ma anche ha esarcebato le dinamiche interpersonali.
Questo fenomeno appare più evidente e marcato nelle situazioni dove l'azienda passa rapidamente da uno stato di "tranquilla e inconsapevole" stasi a uno stato di competizione violenta, e di conseguenza dove è più rapido e profondo il cambiamento richiesto alle persone. Si crea così una interdipendenza tra miglioramento dei processi organizzativi e adeguamento delle dinamiche interpersonali su cui l'arsenale TOC + Deming poco può fare (checchè qualcuno sostenga).
Nel corso degli utlimi anni ho provato timidi avvicinamenti a professionisti e società che si occupassero di dinamiche interpersonali per tentare un'integrazione tra TOC + Deming e metodi per gestire le dinamiche interpersonali. Non è andata bene.
Nel frattempo il problema si è inasprito.
Qualche mese fa Linkedin mi ha fatto incontrare Evolve (http://www.evolveonline.it) e le persone che la costituiscono. Si occupano di dinamiche interpersonali. Ci siamo annusati, ci siamo piaciuti, ci siamo raccontati.
Il sospetto che anche per i professionsiti delle dinamiche interpersonali trattare solo una delle due facce del problema potesse essere un limite è diventato realtà.
E' un limite sia per le aziende che ci ingaggiano, sia per noi stessi.
E' nata così l'idea di provare a superare questo limite (trovare un metodo per armonizzare il miglioramento dei processi oprganizzativi e delle dinamiche interpersonali) o perlomeno di circoscriverlo nel migliore dei modi (in pura logica TOC).
Abbiamo deciso di fare un esperimento dal vivo, invitando una ventina di persone che dovrebbero vivere lo stesso problema in azienda, che dovrebbero avere anche un altro problema e cioè di avere due interlocutori per le due facce del problema (miglioramento dei processi organizzativi e delle dinamiche interpersonali).
E' nato questo workshop a cui stiamo invitando manager / imprenditori che debbano occuparsi o di processi organizzativi o di dinamiche interpersonali e che però subiscoano gli effetti di entrambi questi "fenomeni".
I processi organizzativi e le dinamiche interpersonali: due sguardi complementari si incontrano. Un'opportunità di sviluppo per le Persone e per le Imprese.
Giovedì 22 gennaio 2015 h 14.30 - 18.00
Partecipazione gratuita, su invito
c/p Unione Artigiani dela Provincia di Milano
via Doberdò 16, Milano MM Villa San Giovanni
Per essere invitati scrivere a claudio.vettor@winwin-consulting.biz
lunedì 8 dicembre 2014
martedì 11 novembre 2014
Anche in edilizia prevenire è meglio che curare!!
Vi starete chiedendo ma che ci azzecca la TOC, le soluzioni win win con l'edilizia.
Pubblico questo post perchè trovo interessante il tema della prevenzione. E', nel suo campo, un minuscolo esempio di come costruire soluzioni win win non sia così difficile a patto di avere una "forte intuizione" della propria materia e essere ben orientati a risolvere i "conflitti" del mercato.
FALSI
MITI RIGUARDO LE UNITA' IMMOBILIARI
Ho
la scheda catastale aggiornata quindi la mia unità è regolare:
Nulla di più falso!! Il fatto di avere la planimetria catastale aggiornata e che rispecchia lo stato di fatto dell'appartamento / ufficio / laboratorio / magazzino / capannone NON significa che l'immobile sia in regola con i regolamenti urbanistici, edilizi e sanitari vigenti.
Infatti il “catasto” non è per legge probatorio in quanto è affidata ai comuni tutta la normativa di cui sopra per cui l'unico titolo abilitativo probatorio è un titolo abilitativo comunale (Licenza Edilizia, Concessione Edilizia, Autorizzazione Edilizia, Condono Edilizio etc.). Il CATASTO ovvero l'Ufficio del Territorio presso l'Agenzia delle Entrate è semplicemente incaricato di CENSIRE gli immobili esistenti ai soli fini fiscali.
L'unico caso in cui una scheda catastale ha valore probatorio del fatto che l'immobile sia stato regolarmente realizzato è per le unità immobiliari edificate ANTECEDENTEMENTE il 1942 e che non abbiano, da quella data MAI subito variazioni (lo stato di fatto attuale deve corrispondere alla planimetria catastale
presentata ante 1942).
Nella e della mia unità immobiliare posso fare quello che voglio:
Altro falso mito. Ogni opera edilizia che necessiti l'abbattimento anche solo di un tavolato divisorio interno è soggetto a presentazione di progetto in Comune a firma di tecnico abilitato.
Anche l'uso dell'unità immobiliare non è di libero arbitrio ma segue una normativa specifica ed in alcuni casi necessita di speciali autorizzazioni da parte dell' A.S.L.
Se
divido l'unità con pareti in cartongesso non devo chiedere permessi in quanto sono pareti mobili:
Non è vero. Qualunque divisione interna o modifica che preveda la realizzazione di tramezzi a tutta altezza necessita di presentazione di progetto in quanto vengono a modificarsi i rapporti di areoilluminazione.
Inoltre una parete a tutta altezza anche se di cartongesso o di quelle in metallo e vetro da ufficio sono stabilmente fissate per cui non possono considerarsi pareti mobili.
Posso sempre chiedere il condono edilizio in caso di irregolarità:
Falso. Il condono edilizio non esiste più da 10 anni. Si possono sanare solo alcuni tipi di irregolarità purchè le opere abusive siano conformi a tutta la normativa vigente.
E' quindi meglio se chiedo una consulenza a qualcuno competente se devo acquistare/vendere o anche solo affittare un immobile?:
Senza dubbio si! Ne vale sicuramente la pena per non trovarsi, in seguito, con problematiche anche importanti come ad esempio aver acquistato un immobile per la propria attività e poi non poterlo usare perchè non conforme a qualche regolamento.
Anche in edilizia prevenire è meglio che curare!!
Per ulteriori informazioni:
perito edile Fabrizio Prina
Via G.B. Bertini, 19 – 20154 Milano
mobile 3273806137
e-mail: studiotecnicoprina@gmail.com
sabato 8 novembre 2014
Teoria dei Vincoli di Goldratt (TOC) e performance management focalizzato
Teoria dei Vincoli di Goldratt (TOC) e performance
management focalizzato
Giovedì 20 novembre 2014 – 16.30-18.30
Aula B - Unione Artigiani della Provincia di Milano
Via Doberdò 16 – Milano – MM Villa San Giovanni
La partecipazione al workshop è gratuita - Per informazioni info@metreeca.it
E' richiesta l'iscrizione online alla pagina www.metreeca.it/events/toc-workshop
Il workshop è un'occasione per rfiletetre su alcune domande chiave.
Gli indicatori (KPI) sui quali siete valutati e che
utilizzate per governare l’azienda rappresentano adeguatamente tutta la
complessità cui dovete far fronte?
Riuscite a intervenire come vorreste sulle cause profonde
delle criticità che affrontate ogni giorno o siete assorbiti quasi
completamente dalle urgenze e dalla necessità di spegnere incendi?
Tra voi e i vostri colleghi manager esiste consenso e
condivisione sui problemi da affrontare e sulle relative priorità?
Il lavoro di squadra all’interno del management team in cui
operate è all’altezza delle vostre aspettative?
Il workshop presenta metodi e strumenti per:
▪ individuare i KPI più adatti al vostro contesto e
ai vostri obiettivi di business
▪ agire efficacemente in team con gli altri manager
della vostra azienda per raggiungere insieme gli obiettivi di business
▪ individuare e rimuovere le cause profonde dei
problemi ricorrenti
Agenda
▪ Introduzione
▪ Il caso Spedali Civili di Brescia
▪ TOC performance management
▪ Metreeca Path Finder
▪ Dimostrazione pratica
▪ Discussione e conclusioni
E' richiesta l'iscrizione online alla pagina www.metreeca.it/events/toc-workshop
sabato 1 novembre 2014
Applicare la TOC - teoria dei constraints - in un ambito di produzione - episodio 2
Pezzullo un po' vintage, perchè scritto quasi vent'anni fa, ma che è ancora attuale.
Nell'episodio 1 abbiamo mostrato quale approccio alla produzione è stato sviluppato dalla TOC (teoria dei constraint) e quali risultati ha prodotto.
In questo - episodio 2 - si discuterà delle barriere che si oppongono al cambiamento in ambito produttivo e di come la TOC può essere utilizzata per superarle.
Questo conflitto si regge su di un assunto preciso, che possiamo anche riformulare dicendo che solo raggiungendo la massima efficienza di ogni macchina è possibile consegnare quanto i clienti ci hanno ordinato. I risultati non propriamente positivi che si raggiungono perseguendo l’efficienza di solito vengono attribuiti ad una serie di cause:
Nell'episodio 1 abbiamo mostrato quale approccio alla produzione è stato sviluppato dalla TOC (teoria dei constraint) e quali risultati ha prodotto.
In questo - episodio 2 - si discuterà delle barriere che si oppongono al cambiamento in ambito produttivo e di come la TOC può essere utilizzata per superarle.
Quando si tenta di
mettere in pratica questo approccio, ci si trova di fronte un conflitto, quasi
inevitabilmente. Le misure che comunemente vengono utilizzate dal management
per valutare le prestazioni di un impianto fanno a pugni con la necessità di
soddisfare i requisiti dei clienti. Il management trova molto difficile
subordinare le azioni al conseguimento dell’obiettivo (cioè sul constraint),
cercando di prestare uguale attenzione alle mille difficoltà e problemi che si
presentano ogni giorno nell’impianto; l’assunto che sostiene che questo
atteggiamento è esprimibile così: per ottenere l’ottimo globale occorre
raggiungere tutta una serie di ottimi locali.
La situazione di
questa categoria di manager è rappresentabile da questo piccolo albero della
realtà corrente (nell’albero della realtà corrente ogni blocco è connesso a uno
o più blocchi da relazione di sufficienza e/o necessità – dove si vede un
ellisse -, l’albero si legge a partire dal basso, per esempio i blocchi 10, 50
e 15 si leggono così: se la gran parte dei manager gestisce gli impianti
cercando di raggiungere ottimi locali allora ottenere un elevata efficienza
locale è importante per i manager e i manager non sono completamente padroni
dell’approccio TOC alla produzione…). L’albero della corrente è uno degli
strumenti di pensiero sistemico ideati da Goldratt per supportare il cosiddetto
POOGI (process of ongoing improvement – processo di miglioramento continuo)
Il conflitto che
c’è alla base di questa situazione è rappresentabile con la nuvola (la nuvola è
il meccanismo con il quale nella TOC si rappresentano i conflitti tra due
posizioni) qui sotto riportata.
Questo conflitto si regge su di un assunto preciso, che possiamo anche riformulare dicendo che solo raggiungendo la massima efficienza di ogni macchina è possibile consegnare quanto i clienti ci hanno ordinato. I risultati non propriamente positivi che si raggiungono perseguendo l’efficienza di solito vengono attribuiti ad una serie di cause:
·
i clienti cambiano idea di frequente
·
i venditori promettono sempre tempi di
consegna istantanei
·
ci sono problemi di assenteismo nel
personale
·
il personale non ha gli skill
necessari
·
i processi sono affetti da scarsa
affidabilità
·
le macchine si rompono quando meno se
lo si aspetta
·
la qualità dei prodotti non è il
massimo
·
i dati che vengono forniti al
management sono poco accurati
·
il management non sempre può adottare
le politiche che vorrebbe
Tutte queste cause
sono vere, ma, purtroppo per chi deve gestire gli impianti, non sono il
problema centrale.
Tutte queste cause
sono vere, ma, purtroppo per chi deve gestire gli impianti, non sono il
problema centrale.
Nell’approccio TOC
(drum buffer rope) il focus si sposta da domande del tipo: Com’è l’efficienza
delle macchine, e quella delle persone, quanti setup si fanno, quanto grandi
facciamo i lotti di produzione, e quelli di trasferimento? A tenere
costantemente sotto controllo il buffer, di modo che ci si possa accorgere in
tempo se il constraint rischia di rimanere senza materiale da processare.
Cos’è il buffer
management? Dividiamo idealmente il buffer, che come sappiamo è espresso in
tempo, in 3 zone di uguale dimensione:
In zona verde se il
materiale è in ritardo devo solo verificare che arrivi, in zona gialla comincio
a preoccuparmi del materiale in ritardo e si farà un po’ di expediting. Se si è
in zona rossa (quindi molto vicini al momento in cui il materiale deve essere
pronto) e il materiale è in ritardo, ci si ritrova con un buco (di produzione)
Gli impianti o per meglio dire i processi
produttivi possono essere catalogati in 4 fondamentali tipologie: impianto ad
A, a T, a V a I.
Ogni "stabilimento" è in effetti
costituito da un mix particolare di una o più di queste 4 tipologie base.
Nel gergo della TOC
(Teoria dei constraints) con il termine UDE (undesiderable effect) si indicano
i problemi, quelle cose che disturbano il buon andamento di una qualsiasi
realtà produttiva (sia esso uno stabilimento, che un ufficio viaggi). Questi
"effetti indesiderabili" sono i sintomi di un problema più profondo e
difficile da superare (che in gergo TOC si chiama core problem); un po' come la
febbre è un sintomo di una qualche malattia. E come ogni buon medico sa,
combattere i sintomi è sicuramente importante (specie quando la febbre è alta)
ma è inutile se non si rimuove la "malattia"; una corretta diagnosi è
la premessa indispensabile per una buona terapia. Il grande pregio del core
problem è che essendo connesso logicamente a tutti gli UDEs, se lo si elimina
si possono eliminare tutti gli UDEs.
La TOC mette a disposizione
uno strumento potente con il quale si possono rappresentare tutti gli UDEs di
una determinata realtà e quindi derivarne il core problem. Questo strumento si
chiama CRT - current reality tree (albero della realtà corrente). In questo
contesto non entreremo nel merito di come si costruisce ma ci limiteremo a
descriverlo brevemente per essere in grado di leggere alcuni CRT che
rappresentano la realtà delle
tipologie base di impianti.
Il CRT è un
diagramma nel quale ogni UDE, rappresentato da un box, è connesso logicamente
con uno o più altri UDE. Una volta derivato nel CRT è rappresentato anche il
core problem; è riconoscibile perché è il box a cui, direttamente o
indirettamente sono connessi tutti gli altri box.
Poter descrivere le
problematiche comuni (UDEs) delle tipologie di base degli impianti attraverso
un CRT consente di focalizzare rapidamente l'attenzione sul core problem e
quindi di (avendo una corretta diagnosi) impostare la soluzione.
·
ci sono poche materie
prime/semilavorati che danno origine a un grande numero di prodotti finiti; in
ogni stadio del processo un “prodotto” dà origine a molti prodotti.
·
tutti I prodotti sono realizzati nella
stessa maniera e condividono delle risorse comuni
·
ci sono punti di divergenza nel flusso
produttivo; dopo una lavorazione non si può tornare indietro (se si sbaglia non
si può né riutilizzare né rilavorare)
In molti casi gli
impianti a V sono ad alta densità di capitale con macchinari specializzati.
Quali sono gli UDEs, i problemi, che si
trovano generalmente in un impianto a V? Elenchiamone un po’:
1.
i piani di produzione spesso subiscono
variazioni;
2.
non sempre è possibile stabilire la
convenienza di accettare/rifiutare un ordine;
3.
esistono conflitti tra le richieste
dell’ufficio vendite e le disponibilità della produzione;
4.
lunghi tempi di attrezzaggio;
5.
il tempo di attrezzaggio di una
macchina non è sempre “economicamente giustificato” dall’utilizzo della
macchina stessa;
6.
il fermo macchina per l’attrezzaggio
rappresenta un costo elevato;
7.
non è sempre possibile produrre in
grandi lotti;
8.
pur massimizzando l’efficienza delle
macchine non sempre siamo in grado di evitare ritardi nelle consegne.
9.
la qualità delle materie prime è molto
disomogenea ;
10. le
materie prime rilasciate al processo per soddisfare un determinato ordine hanno una bassa probabilità di
completare questo ordine, probabilità che è tanto più bassa quanti più punti di
divergenza ci sono nel sistema
11. se
un prodotto può risparmiare un setup e vengono prese misure che rinforzano
questo comportamento la materia prima attraversa questo processo
12. I
prodotti tendono a dirigersi dove I risultati sono migliori (risultati come
tonnellate al giorno, unità all’ora, cioè più prodotti per unità di tempo)
L’effetto
complessivo di tutte queste cose è la cattiva allocazione dei materiali,
aspettiamoci di vedere mucchi di cose (che non si muovono) e piccole quantità
di cose (che si muovono), l’ordine di grandezza dei problemi dipende dal
sistema d incentivi che viene utilizzato nell’azienda.
I problemi generati
da questa realtà, esistono contemporaneamente e non è sufficiente eliminarne
uno per migliorare significativamente i risultati aziendali.
Questi problemi,
gli effetti indesiderabili presenti nella nostra realtà, sono spesso originati
da una causa comune, da un problema centrale; questo, a volte, non è
immediatamente visibile, è piuttosto da ricercarsi nella relazione che esiste
tra gli effetti indesiderabili.
Questo avviene a
causa della natura squisitamente sistemica delle organizzazioni. Infatti una
organizzazione è una rete di elementi interdipendenti che interagiscono tra
loro per il raggiungimento di un obiettivo comune. Tale natura sistemica fa si
che agendo su una parte dell'organizzazione si producono effetti su tutto
l’insieme.
Il disegno
seguente, un albero della realtà corrente costruito sul conflitto fondamentale,
mostra tutte queste interconnessioni in modo semplice e intuitivo
Il secondo albero
che presentiamo affronta il tema della misurazione delle prestazioni. Mostra in
sostanza come l’avere adottato dei sistemi di misura centrati sull’efficienza
locale determini l’accadere di una miriade di effetti indesiderabili. L’albero
si riferisce al settore dell’acciaio, ma è generalizzabile per tutti i settori
dove gli impianti hanno una forma a V.
Proviamo a leggerlo
insieme.
Si
parte con la constatazione che nell’industria dell’acciaio, ogni reparto è
valutato in base alla quantità di tonnellate processate per ora. La misura
tonnellate/ora è la misura operativa principale (500)
Sappiamo
tutti che le persone si comportano conformemente al modo in cui sono misurate
(510) e quindi nell’industria dell’acciaio, non c’è da stupirsi se i reparti
cercano di ottimizzare il loro rendimento in termini di tonnellate/ora (515)
Questa
conclusione dove ci porta? Presa in se stessa potrebbe essere sensata ma se la
mettiamo in relazione con altri fenomeni che si verificano in questo tipo di industria
scopriamo che non è così.
Infatti:
in quasi tutti reparti la lavorazione di alcuni pezzi richiede meno tempo per
tonnellata rispetto ad altri (520). Per esempio, produrre 10 tonnellate di
lastre spesse 2 pollici richiede assai meno tempo che produrre 10 tonnellate di
lastre spesse 1/2 pollice
Ne
risulta che: per ottimizzare la quantità di tonnellate/ora prodotte in un dato
periodo, i reparti tendono a produrre i pezzi più “veloci” spendendo gli stessi
soldi che occorrono per produrre i pezzi “lenti”(540).
La
conclusione è facilmente immaginabile: grandi scorte di pezzi “veloci”, perdita
di ordini sui pezzi “lenti”.
Se
guardiamo ad un altro aspetto del problema vediamo che nell’industria
dell’acciaio, in ogni reparto i tempi di setup sono significativi e, come
sappiamo, il setup riduce la quantità di tonnellate/ora (525), infatti mentre
si fa il setup la produzione è = 0 (530). Di conseguenza, per ottimizzare il
rendimento in termini di tonnellate/ora, i reparti tendono a dare la precedenza
agli ordini che permettono di aumentare la dimensione dei lotti (550)
Anche
in questo caso: grandi scorte inutili, inaffidabilità rispetto ai tempi di
consegna.
Per
un reparto, la situazione peggiore è l’inattività -non produrre = 0
tonnellate/ora (525). Non c’è da meravigliarsi che, per ottimizzare il
rendimento in termini di tonnellate/ora, i reparti tendano a produrre scorte
anche quando non ci sono richieste di mercato nel breve-medio periodo (545),
producendo scorte in eccesso.
Ma
il vero killer si profila all’orizzonte... Negli impianti a V, il processo
produttivo è caratterizzato da divergenza di prodotti ad ogni stadio della
produzione (560). Se mettiamo in relazione quest’affermazione con i fenomeni
che abbiamo descritto in precedenza (enunciati 540, 545 e 550), cosa otteniamo?
Per
ottimizzare il proprio rendimento in termini di “tonnellate/ora” i reparti
tendono a intraprendere azioni che si risolvono poi in “furto” di materiale a
scapito degli ordini
domenica 26 ottobre 2014
Applicare la TOC - teoria dei constraints - in un ambito di produzione - episodio 1
Pezzullo un po' vintage, perchè scritto quasi vent'anni fa, ma che è ancora attuale.
In questo documento
vengono trattati due elementi fondamentali e costitutivi di ogni pratica
gestionale di successo in ambito produttivo. La necessità di determinare quali
siano i fattori di successo nella conduzione di un impianto o di una fabbrica
ha fatto sì che ogni anno venisse prodotta una mole considerevole di studi
sulle migliori pratiche di
management.
In questo documento per prima cosa verrà mostrato quale approccio
alla produzione è stato sviluppato dalla TOC (teoria dei constraint) e quali risultati ha prodotto.
In secondo luogo si discuterà
delle barriere che si oppongono al cambiamento in ambito produttivo e di come
la TOC può essere utilizzata per superarle.
L'approccio TOC alla produzione va sotto il nome di
Drum-Buffer-Rope (da qui in avanti si userà l'acronimo DBR), che è stato
ampiamente descritto nei libri del dr. Goldratt L'obiettivo (The Goal
nell'edizione originale), The Race e The Haystack Syndrome; a questi libri si
rimanda per un ulteriore approfondimento dell'argomento.
Con l'aiuto di uno schema semplificato di impianto
produttivo vedremo rapidamente nel seguito in che cosa consiste il DBR.
L'impianto "pilota" è molto semplice: ci sono 5
stazioni di lavoro (risorse) che in sequenza processano la materia prima che
viene rilasciata all'inizio della catena, e la passano alla stazione seguente
fino ad avere il prodotto finito. Nella realtà la catena non finisce qui ma
continua fino al cliente finale, per il momento limitiamoci ad un ambito
strettamente di produzione e quindi ipotizziamo che la catena termini con la
produzione del prodotto finito.
Le consuete pratiche di gestione della produzione prevedono
di rilasciare la materia prima, magari a lotti, di processarla tutta nella
prima stazione e al termine del lotto di produzione di passarla alla stazione
successiva, e così via fino ad ottenere il prodotto finito. Il tasso con il
quale viene rilasciata la materia prima viene spesse volte influenzato da un
certo numero di fattori quali la necessità di tenere occupate le stazioni di
lavoro (cioè gli impianti), la domanda complessiva di prodotto finito, la
dimensione degli ordini e altri fattori ancora. Ci sono però due elementi dai
quali non si può prescindere quando si stabilisce il tasso di rilascio (ovvero
la politica di rilascio) di materia prima: quello che chiede il mercato (la
cosiddetta domanda) e le misure che sono correntemente utilizzate
nell'impianto. Uno degli assunti di base delle pratiche di gestione della
produzione è che la capacità produttiva di ogni stazione di lavoro è la stessa.
Sappiamo però che anche in assenza di fluttuazioni statistiche potrebbe essere
difficile ottenere un bilanciamento perfetto tra le diverse stazioni di lavoro.
Inoltre nella realtà gli sbilanciamenti di capacità esistono e spesse volte
sono anche molto pronunciati. Questi sbilanciamenti combinati con le
fluttuazioni statistiche che si hanno in ogni processo fanno sì che
nell'impianto si formino code di semilavorati, in genere di fronte alle
macchine più lente. Uno degli assunti di base delle pratiche correnti è
sostanzialmente infondato. La TOC fonda la sua capacità di individuare
soluzioni breakthrough 8cioè soluzioni che facciano conseguire
all’organizzazione che le adotta un drastico miglioramento delle sue
performance) proprio nel sollevare sistematicamente gli assunti che stanno alla
base dei comportamenti e nel chiedersi costantemente se hanno senso.
Inseriamo nello schema del nostro impianto pilota la
capacità di ogni stazione di lavoro misurata in unità prodotte per giornata
lavorativa (pezzi/giorno).
E' ovvio che nelle realtà produttive le differenze di
capacità non saranno così marcate, ma questa considerazione non va a inficiare
la sostanza dei ragionamenti che ci apprestiamo a fare.
Nel nostro caso la macchina numero 4 è il constraint,
infatti è ovvio vedere che è la macchina più lenta della catena e quindi quella
che determina il tasso di produzione di prodotto finito e quindi, prescindendo
da tutte le considerazioni sul mercato (ricordiamo che stiamo assumendo che il
mercato assorba ogni prodotto che riusciamo a spedire), determina il risultato
complessivo dell'impianto.
Ne consegue logicamente che quello che transita dal
constraint dovrebbe essere allineato con la domanda del mercato e la
schedulazione delle operazioni dovrebbe essere sincronizzata con le date di
consegna richieste dai clienti. Questo fatto determina la schedulazione della
macchina constraint, che in gergo TOC viene chiamato DRUM.
Il ROPE è la connessione tra il rilascio della materia prima
e la schedulazione del drum.In poche parole il rilascio di nuova materia prima
(alla prima stazione di lavoro) deve avvenire non appena il materiale è
transitato per il constraint. In questo modo nell'impianto circola solo la quantità
di materiale necessaria ad alimentare il constraint. Tutte le macchine non
constraint devono solo processare il più velocemente possibile il materiale che
si trovano "davanti", e in questo modo siamo sicuri di aver
soddisfatto i requisiti complessivi della produzione: tempi di consegna,
quantità domandata.
Il terzo ingrediente della ricetta DBR è il cosiddetto
BUFFER. Il buffer in primo luogo è una quantità di tempo e non di materiale,
come normalmente si è portati a ritenere. In sostanza il BUFFER è la quantità
di tempo che intercorre tra il rilascio della materia prima alla stazione 1 e
la data di consegna interna a valle della macchina constraint, determinata
dalla schedulazione del DRUM. Nel nostro schema di impianto è la lunghezza
della linea produttiva (in tempo) dalla macchina 4 al rilascio della materia
prima.
Va poi considerato che essere capaci di garantire che il
materiale raggiunga il constraint nel tempo stabilito non è sufficiente, se non
si vende il prodotto finito non si otterranno utili, è necessario allora
assicurarsi, al fine di ottenere un profitto, che il prodotto finito arrivi al
cliente per tempo. C'è quindi un ulteriore elemento che deve essere determinato
e cioè quanto tempo ci vuole per muovere il materiale dal constraint al mercato
(possiamo dire che questo tempo è il vero time to market); questo tempo deve
essere adeguatamente bufferizzato, e lo si fa con il cosiddetto shipping
buffer.
In molti ambiti produttivi non è possibile identificare il
constraint così facilmente come abbiamo visto sopra. E’ dunque necessario usare
un approccio un po’ più raffinato, ma ugualmente efficace, disponendo
all’inizio solo un buffer (shipping buffer), che viene calcolato sulla base
delle date di consegna pattuite degli ordini dei clienti e del lead time
complessivo della linea produttiva.
Una volta stabilito il buffer, attraverso la gestione di
esso è possibile identificare il constraint interno e quindi schedulare la
produzione in accordo con esso.
Questa appena vista è una breve descrizione del meccanismo
fondamentale del DBR. Rimane un ultimo aspetto da affrontare, come far sì che i
miglioramenti conseguiti con l’implementazione del DBR non rimangano statici,
ma si inneschi un processo di miglioramento continuo. La risposta della TOC a questa
istanza consiste nei 5 passi del processo di focalizzazione, aspetto che è alla
base di ogni implementazione di drum buffer rope, insieme all’uso sistematico
dei TP-tools (cioè agli strumenti di pensiero sistemico. Questi elementi
forniscono il necessario grado di rigore scientifico all’analisi dei problemi e
permettono di identificare i constraint non fisici, come ad esempio politiche o
comportamenti.
I 5 passi di focalizzazione sono i seguenti:
Passo 1 – identificare il/i constraint(s) del sistema
Identificare significa che si ha già un’idea di quale sia il
fattore limitante le performance del sistema, la cosiddetta risorsa scarsa e si
decide da quale partire; in questo passo non è importante avere una lista di
constraint basata su qualche priorità, la lista dei candidati è molto molto
breve, prima o poi dovremo confrontarci con tutti.
Ci vuole l’abilità di determinare attraverso l’osservazione
e l’analisi dei dati (per una specifica introduzione alle tecniche di controllo
statistico di processo si rimanda al documento di riferimento) la risorsa
scarsa, che è il fattore limitante dell’impianto. Solo quando questa risorsa è
stata identificata è possibile sviluppare una schedulazione basata sul DRUM. In
gergo se la domanda del mercato è superiore alla capacità del constraint,
questo viene anche chiamato bottleneck. Per poter schedulare il drum occorre
conoscere il volume di prodotto richiesto giorno per giorno, e la distinta base
di ogni prodotto.
Passo 2 – decidere come sfruttare il constraint
Poiché il constraint è il fattore che limita le performance
non ci rimane che decidere come dobbiamo spremere dal constraint tutto quello
che può dare. Sfruttare è quello che si deve fare, nulla di più nulla di meno.
E se il constraint è esterno, cioè è il mercato – abbiamo abbastanza capacità
ma non abbastanza ordini? Allora sfruttare significa fare tutte le consegne in
tempo, non basta il 99%, ci vuole il 100%.
In ambito produttivo prima di fare qualsiasi altra cosa
occorre spremere dal constraint ogni minuto di processo. Questo ha delle ovvie
implicazioni sulle politiche di manutenzione, di ispezione qualità, ecc.
Cosa succede a tutti gli altri componenti il sistema?
Passo 3 – subordinare tutto il resto alla decisione presa al
passo 2
Il ruolo di una risorsa non-constraint è assicurare che il
constraint lavori nel modo migliore possibile in modo da massimizzare il
throughput. Ciò significa che tutti i processi, le interdipendenze del sistema
devono essere disegnati per ottimizzare il lavoro del constraint.
Se è il constraint che determina la capacità produttiva
complessiva dell’impianto (e anche il profitto, purché siamo nelle condizioni
che il mercato assorbe tutto quello che viene prodotto) nulla deve impedire a
questa capacità di venire meno. Per esempio il rilascio della materia prima
deve avvenire in accordo con la capacità della risorsa scarsa (constraint).
Questo implica che nell’impianto gira solo quanto serve per alimentare il
constraint (e quindi si riduce il wip al livello minimo per assicurare il
massimo di profittabilità dell’impianto, scendere ancora di wip metterebbe a
rischio la capacità produttiva del constraint e quindi metterebbe a rischio il
profitto).
A questo punto siamo sulla strada giusta, ma non basta
Passo 4 – elevare il constraint
Elevare significa aumentare la capacità del constraint.
Tutto quello che si poteva fare per ottimizzare il sistema è stato fatto, per
incrementare il throughput è necessario elevare il constraint (che può voler
dire più macchinari, più persone, ecc.).
Per rompere il constraint occorre aggiungere altre macchine
o convertire le macchine presenti. E’ molto importante evitare che il
constraint si sposti per effetto dell’aumento della capacità produttiva del
constraint originale. Quindi l’azione di elevamento del constraint deve essere
accompagnata da un’azione di elevamento della capacità degli elementi che
alimentano il constraint stesso.
Passo 5 – Se nel passo precedente il constraint è stato
rotto ritornare al passo 1
Questo passo è fondamentale per non farsi prendere
dall’inerzia, Goldratt dice che se tu ti dimentichi del constraint esso non si
dimentica mai di te!
Quando si tenta di mettere in pratica questo approccio, ci
si trova di fronte un conflitto, quasi inevitabilmente. Le misure che
comunemente vengono utilizzate dal management per valutare le prestazioni di un
impianto fanno a pugni con la necessità di soddisfare i requisiti dei clienti.
Il management trova molto difficile subordinare le azioni al conseguimento
dell’obiettivo (cioè sul constraint), cercando di prestare uguale attenzione
alle mille difficoltà e problemi che si presentano ogni giorno nell’impianto;
l’assunto che sostiene che questo atteggiamento è esprimibile così: per
ottenere l’ottimo globale occorre raggiungere tutta una serie di ottimi locali.
MA QUESTA E' TUTTA UN'ALTRA STORIA, AL PROSSIMO EPISODIO
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