venerdì 27 novembre 2015

Tput World vs. Cost world - parte 2

Gutenberg e il Throughput Accounting- una storia in 4 puntate
II puntata - un libero adattamento del problema P&Q da The Haystack Syndrome - E. Goldratt


Dalla puntata precedente ..“Tutto molto semplice, ma molto realistico” sottolineò Gutenberg e proseguì “la decisione che si deve prendere è quale prodotto produrre per massimizzare il profitto della settimana, e io faccio a voi la medesima domanda”. Lo staff dirigenziale fu diviso in piccoli gruppi di tre persone e si mise al lavoro.

Come era facile prevedere il gruppo di Piero terminò più rapidamente degli altri e fu invitato a esporre la loro risposta. Piero andò alla lavagna e cominciò “E’ un problema di una banalità sconcertante, come quelli che fanno risolvere al corso di contabilità gestionale al primo anno di università.”

Disegnò una matrice (non se abbiano a male i fisici, una matrice è una cosa diversa in matematica ma chiamere una tabella matrice fa molto più figo...)  sulla lavagna nella quale scrisse una serie di numeri, più o meno così:

Spiegò Piero “Il margine di Q è superiore a quello di P, di quasi il 35%, è chiaro che vendere Q farà aumentare il profitto molto di più che vendere P, perché ci permetterà di coprire i costi fissi, i 600.000 dollari settimanali, molto più rapidamente.” Scrisse ancora qualche numero e continuò “Ecco qua, il profitto complessivo, prendendo per buone le previsioni di vendita, sarà di 150.000 dollari alla settimana”. I numeri che aveva scritto somigliavano a questi.

Gli altri gruppi assentirono vigorosamente. Gutenberg sornione, si avvicinò al palco e disse “Se foste un’azionista di questa azienda che cosa pensereste di un gruppo di dirigenti che riesce a farvi perdere 30.000 dollari alla settimana?” e proseguì “e che cosa pensereste di un altro che riesce a dimostrarvi come si può far rendere la stessa azienda 30.000 dollari alla settimana?”

Fu la volta di Gutenberg di andare alla lavagna e disegnare un’altra matrice


“I venditori sono sempre molto ottimisti, ma non dobbiamo farci contagiare. Nessuno di voi si è chiesto se ci fosse un qualche fattore che ci impediva di produrre tutto quello che i venditori ci hanno promesso avrebbero venduto. Questo fattore c’è, come vedete bene, ed è la risorsa B.”
Piero lo interruppe alzandosi in piedi “ma anche in questo caso è sempre meglio produrre e vendere Q che ha un margine superiore!” Gutenberg impassibile riprese. “E generare perdite per 30.000 dollari la settimana!” e completò il ragionamento “Privilegiamo dunque Q, vendiamo tutto quello che il mercato chiede, cioè 50 unità; a questo punto abbiamo consumato 1500 minuti della risorsa B, usiamo i rimanenti 900 per produrre il massimo di P cioè 60 unità. Facciamo di nuovo i conti e oplà il pasticcio è servito” Gutenberg mostrò la stessa matrice di Piero con qualche numero cambiato.

I dirigenti erano ammutoliti. Qualcuno prese furiosamente a fare i conti per vedere dove era il trucco. Piero scribacchiava numeri a tutto spiano. Gutenberg non lasciò tregua “Prima di andare a pranzo voglio solo mostrarvi come si può generare un profitto di 30.000 dollari alla settimana.” Si rimise alla lavagna e spiegò “ Nel mondo del throughput non esiste il profitto del prodotto, ma solo profitto dell’azienda. Una volta che ci si è resi conto che esiste un fattore che limita la nostra capacità di produrre il profitto, lasciatemelo chiamare constraint, dobbiamo decidere come sfruttarlo. Ciò significa: ricavare il massimo del denaro da ciò che ci limita, cioè dal constraint. Se la risorsa scarsa è B calcoliamo quanti minuti di constraint servono per produrre P e quanti per produrre Q.”Tutti prendevano furiosamente appunti. Gutenberg rallentò “per ora continuiamo a usare il concetto di margine e uniamolo al concetto di constraint. E’ chiaro che il profitto più alto sarà dato dal prodotto che genera più margine per tempo di constraint!” Il gruppo dirigenziale rumoreggiava, si era perso. Gutenberg ripetè “ infatti se per produrre P mi servono 15 minuti di B e per produrre Q me ne servono 30, significa che l’impianto in un’ora riesce a produrre 4 P oppure 2 Q e di conseguenza in un’ora il margine operativo sarà di 180 dollari se produco P e di 120 dollari se produco Q. “ Adesso scorgevano la luce in fondo al tunnel. “ Meglio dunque far produrre P che Q. “ e disegnò una terza matrice.

Gutenberg commentò “ se sono bravo produco tutti i P che il mercato è disposto a comprare, cioè 100, consumando così 1500 minuti della risorsa B, con i restanti 900 produco tutti i Q che posso, cioè 30. E questo è il massimo che l’impianto può fare. E ora tutti a pranzo!”

...CONTINUA....

venerdì 20 novembre 2015

Tput world vs. Cost world - parte 1



Gutenberg e il Throughput Accounting- una storia in 4 puntate

Nel dicembre di qualche anno fa il direttore generale di una media azienda che produceva macchine per la stampa organizzò una riunione di due giorni di tutto lo staff dirigenziale per discutere il piano operativo dell’anno successivo. 

Il dr. Andrea Gutenberg, nipote del fondatore dell’azienda e ora direttore generale, aveva appena terminato un percorso di formazione manageriale preso uno dei più prestigiosi istituti europei, e si era imbattuto in una teoria manageriale completamente diversa da quelle in voga, che lo aveva affascinato per la naturalezza con la quale si accordava ai principi di gestione che suo nonno e suo padre gli avevano trasmesso, dandone al contempo una spiegazione scientifica incontrovertibile. 

Gutenberg voleva approfittare del consueto meeting per sperimentare alcuni di questi concetti dal vivo; in particolare voleva vedere le reazioni dei suoi dirigenti al throughput accounting, l’analogo del controllo di gestione della Teoria dei Constraints.

Gutenberg apostrofò così i suoi dirigenti. “Voi sapete perché siamo qui oggi? Per capire sulla base di quali elementi faremo i preventivi nel futuro, vale a dire sulla base di quali elementi definiremo i prezzi nel futuro. Perché definiamo i prezzi? forse perché vogliamo vendere? e perché vogliamo vendere? perché vogliamo diffondere per il mondo i prodotti del Gutenberg Institute? o perché vogliamo rendere il Gutenberg Institute sempre più profittevole? Vogliamo che il Gutenberg Institute cresca o comunque non perda, possibilmente guadagnando domani una lira in più di oggi, migliorando l’utile netto. Siete d’accordo?” 

Qualcuno cominciava a scuotere lentamente la testa, chiedendosi se ci fosse della verità nell’affermazione che i corsi di formazione fanno più male che bene. Gutenberg, caricato a molla, continuò “La prima cosa che deve essere chiaramente definita è: L’obiettivo globale dell’organizzazione. Se siamo tutti d’accordo che l’obiettivo complessivo della organizzazione comprende il fatto di migliorare i profitti (anche se magari non è solo questo), allora quando definiamo i prezzi dei prodotti dobbiamo assicurarci che far entrare quel lavoro, per noi significhi migliorare il nostro utile. Ciò significa che le misure che noi dobbiamo utilizzare per prendere delle decisioni, giorno dopo giorno, sono quelle che  sono in grado di dimostrare qual è l’impatto di una decisione locale sull’obiettivo complessivo dell’organizzazione.” 

Il controller, Piero, formatosi nella più prestigiosa business school italiana, si agitava sulla sedia.
Gutenberg implacabile alzando il tono di voce “Vedo poca convinzione nei vostri occhi. Siccome un esempio vale più di mille ragionamenti, dedicheremo un po’ di questa giornata a un piccolo gioco, al termine del quale completerò il mio intervento.” 

Gutenberg descrisse il seguente caso.Una azienda produttrice di beni industriali si trova nella seguente situazione: ha due buoni prodotti P e Q, il prezzo a cui si può vendere  P è di 9.000 dollari, il mercato ne chiede 100 unità alla settimana, il prezzo di Q è di 10.000 dollari e il mercato ne chiede 50 pezzi alla settimana. L’azienda ha una forza lavoro molto ben formata, il tasso di difettosità dei prodotti è praticamente zero. Il tempo di set-up delle macchine nella linea produttiva è nullo, ci sono 4 differenti skills di lavoratori (skill A, B, C, D). L’azienda lavora 5 giorni alla settimana, 8 ore al giorno e 60 minuti all’ora. 

Le spese operative ammontano a 600.000 dollari alla settimana (compresi salari dei lavoratori, freinge benefits, venditori, caporeparto, management, utilities come energia e interessi alle banche).Non si può dire quali siano le inventories perché dipendono da quanto viene prodotto in settimana. La linea produttiva ha il seguente layout:



“Tutto molto semplice, ma molto realistico” sottolineò Gutenberg e proseguì “la decisione che si deve prendere è quale prodotto produrre per massimizzare il profitto della settimana, e io faccio a voi la medesima domanda”. Lo staff dirigenziale fu diviso in piccoli gruppi di tre persone e si mise al lavoro.
Come era facile prevedere il gruppo di Piero terminò più rapidamente degli altri e fu invitato a esporre la loro risposta. Piero andò alla lavagna e cominciò “E’ un problema di una banalità sconcertante, come quelli che fanno risolvere al corso di contabilità gestionale al primo anno di università.” 

segue alla prossima puntata....


lunedì 26 ottobre 2015

Exit Strategy dalla Crisi: una cosa interessante che voglio condividere



Provate a immaginare il governatore della Lombardia, Maroni, il presidente di Assolombarda, Rocca, il presidente di Assintel, Rapari, il presidente della CCIAA di MIlanoe i top manager di 3 delle più promettenti aziende nel settore ict lombardo, che vanno in missione a 10mila chilometri di distanza, TUTTI ASSIEME, per promuovere la Lombardia come terreno fertile per investimenti esteri.

Facciamo fatica a immaginarlo. 

E’ quello che è accaduto pochi giorni fa, mutatis mutandis, presso palazzo Giureconsulti Milano.

Un workshop di 2 giornate finalizzato a scoprire le Opportunità di Business nello Stato di Minas Gerais in particolare nel settore ICT e tecnologico.

Si sono mossi i pezzi grossi.

Sono stato invitato dall’ing. Clemente Burgazzi con il quale negli scorsi due anni abbiamo promosso presso le PMI, artigiane e non, la possibilità di espandersi in Minas Gerais.

Sono stato colpito oltre che dal parterre, dalla selezione certosina  dei partecipanti e dalla qualità delle relazioni. 

Al di là dei numeri e delle informazioni tecniche che potrete trovare negli allegati, vi consiglio il video che trovate qui, breve, sintetico in italiano, molto interessante.

Sono rimasto colpito in particolare dalle parole del governatore dello stato riguardo il perché investire oggi:

per rispondere alla crisi delle commodities, di cui il Minas Gerais è forte esportatore, Brasile sta svalutando la moneta, questo aiuta export e rende più conveniente investire in monete forti (dollari, euro)

sono interessati più che  a investimenti finanziari a investimenti di know how

il potere legislativo, quello esecutivo e il sistema FIEMG (che è l’analogo della ns. confindustria) sono molto integrati e coordinati

Se siete anche solo curiosi fatemi un trillo.

Allegati:

lunedì 12 ottobre 2015

VENDERE: ARTE, MAGIA, INGEGNERIA - Le origini



VENDERE: ARTE, MAGIA, INGEGNERIA
MILANO, 1 DICEMBRE 2015 18.30 – 20.30
UNA CO PRODUZIONE
CLAUDIO VETTOR
MICHELA REA 
 Le origini - perchè questo seminario

Da quando ho scoperto la TOC - Theory of Constraint e ne ho fatto un caposaldo metodologico del mio agire nelle organizzazioni ne avrò parlato con qualche migliaio di persone. Quei pochi che ne avevano sentito parlare ne avevano sentito parlare per le applicazioni in ambito Operations; ricordavano cose come Drum Buffer Rope, The Goal, Alex Rogo.
Ancora oggi incontrare qualcuno di area o estrazione commerciale che abbia sentito parlare di TOC è cosa rarissima. Tra i più all'avanguardia si mormora di "Oceano Blu", qualcuno sa di "SPIN selling". 
Quando parlo di "Mafia Offer"  (il nome in codice che viene dato alla parte di TOC che si occupa di identificare e rimuovere i constraints che un'organizzazione sperimenta relazionandosi con il mercato di riferimento) attiro attenzione, suscito guriosità, qualche risolino.
Mafia Offer viene "comunicata" dalla comunità internazionale TOC come la soluzione per il marketing e le vendite.
Se rileggete la frase tra parentesi, notate una bella differenza. Il focus è sulla interdipendenza tra un'organizzazione e il proprio mercato. Dove alla parola mercato occorre dare un preciso significato, leggermente diverso da quello a cui siamo abituati. Un significato più ampio dei soli "clienti", un significato che comprenda i fornitori e le persone che lavorano nell'organizzazione.

E per governare le interdipendenze il framework TOC, i suoi strumenti e le sue tecniche a volte non sono sufficineti e a volte vengono grandemente potenziate da altri strumenti o tecniche che si "incastramo" magicamente se e solo se si è naturalmente portati a pensare in ottica "constraint".

Come fare a raccontare tutto ciò? Un mix di arte, che agli occhi dei profani sembra magia e che invece è frutto di una ingegneria meticolosa?

Con un seminario costruito con questi ingredienti.
Volete conoscere i contenuti? 

Rimanete sintonizzati su questo canale... 

Ci vediamo al coworking Unità di Produzione 

Iscrizioni QUI






 

sabato 26 settembre 2015

QUANDO 1 + 1 FA 3

Il caposaldo teorico della TOC - theory of constraints, che da 20 anni è il fondamento metodologico e operativo principale (non l'unico ma il più importante) del mio agire nelle e per le organizzazioni consiste nel concetto di constraint (malamente tradotto in italiano con la parola vincolo).

Constraint è qualcosa, appartenente sia al mondo fiscio che a quello delle idee, che limita la capacità di un sistema (che sia un'azienda, un gruppo di aziende, una fabbrica, una supply chain, una squadra di calcio, un gruppo di amici, ecc...) di raggiungere l'obiettivo che si è prefissato.

Che anche la TOC, o meglio il sistema azienda- consulente che lavorano con la TOC  abbia un constraint, è sia un fatto derivato dal concetto base sia un'esperienza vissuta parecchie volte in 20 anni di lavoro.

Alcune volte mi sono trovato in situazioni simili a quelle di dover fare la maionese con un trapano. E' vero il trapano, la TOC, lo so maneggiare bene, faccio anche dei virtuosismi; ma è noto che fare la maionese con un frusta è più facile, il risultato è più predicibile e non bisogna essere dei virtuosi del trapano.

Nella mia esperienza l'attrezzo, o meglio la cassetta degli attrezzi,  che mi è mancato a volte è quella che molti chiamano dei soft skill, dell'area risorse umane.
Fino a un anno fa, quando ho incontrato Stefano Facheris e Evolve, per me era un'area da cui stare alla larga; non mi fidavo, temevo troppa aria fritta... Ho avuto approcci e avvicinamenti plurimi con consulenti e società di formazione ma tutti alla fine improduttivi.

Con Stefano invece no. Abbiamo riconosciuto uno nell'altro il pezzo mancante. Siamo come trapano e frusta adesso, direbbe Forrest Gump.

O come dice meglio Evolve:

Per usare una metafora: molte volte si pensa che sia sufficiente la qualità del pilota per vincere qualsiasi gara, che la macchina non sia importante.
 

Talvolta si rischia l’opposto: credere che basti una buona macchina e che il pilota sia irrilevante.

Chi lavora solo sul pilota (come evolve) e chi solo sulla macchina, sperimenta il proprio limite che è fisiologico, non è cioè un difetto ma una caratteristica.

Possiamo immaginare e lo stiamo realizzando un percorso in pura logica TOC - 5 focusing step:

1  - identify the constraint
2 - exploit the constraint
3 - subordinate the constraint
4 - elevate the constraint
5 - stop organizational inertia

al termine del quale  succederà che 1 + 1 = 3

Un primo risultato, grande per me, è una introduzione alla TOC per HR che Evolve ha magistralmente realizzato perchè contiene tutto l'essenziale e non contiene nulla di superfluo, è comprensibile al di fuori dell'area degli addetti ai lavori, ha grazia ed eleganza.

La trovate sul sito di Evolve.....

domenica 6 settembre 2015

Viable Vision – portare un’impresa ad avere, in meno di quattro anni, un’utile pari all’attuale livello di fatturato - lucida follia?


Probabilmente il modo migliore di spiegare quello che intendiamo con Viable Vision è citare la frase contenuta in una lettera inviata da Eli Goldratt ai top manager delle aziende americane: “Quando si svolgo l’analisi di un’impresa, ci si può ritenere in qualche modo soddisfatto solo se si vedono chiaramente la possibilità di portare l’impresa ad avere, in meno di quattro anni, un’utile pari all’attuale livello di fatturato”.

Conoscendo la reazione della maggior parte delle persone a tale dichiarazione, la frase successiva era: “Stiamo anche molto attenti a non fare partecipi delle nostre aspettative il top management; essi le considererebbero una indicazione decisiva del fatto che le soluzioni proposte non sono realistiche”.

Durante il 2003 è stata  testata la reazione dei top managers al concetto di Viable Vision. Nel far ciò si è posta grande attenzione nell’esporre le ragioni per cui c’è la convinzione  che tale “visione”, apparentemente incredibile, si possa conseguire. Abbiamo iniziato condividendo la diagnosi su cosa blocca attualmente una migliore prestazione della loro impresa. 

Sulla base di ciò, utilizzando in modo rigoroso la logica di causa ed effetto, si sono  dedotte le azioni concrete da intraprendere per rimuovere il blocco. Poi si sono dettagliati i passi da intraprendere per capitalizzare tale innovazione; i passi che permetteranno all’impresa di avere, in meno di quattro anni, un utile pari alle vendite attuali annue.

A questo punto, la prima reazione dei top managers è stata: “Questo sì che è buon senso, che aspettiamo a metterlo in pratica?”
Perché non ci hanno mai pensato prima? Per quale motivo è opinione comune che, a meno che l’impresa produca un solo prodotto o che sia molto piccola, non è realistico aspettarsi un tale incremento dell’utile? Per quale motivo, sebbene sia possibile costruire una “Viable Vision” per più della metà delle imprese esistenti, l’opinione prevalente è che ciò sia impossibile?
La risposta a ciò dipende dal fatto che la maggior parte delle persone non è consapevole che qualsiasi sistema complesso sia basato su una propria semplicità intrinseca.
Capitalizzare sulla semplicità intrinseca è ciò che rende possibili miglioramenti straordinari entro breve tempo.
Cosa si intende per “semplicità intrinseca”?



Per spiegare il concetto dobbiamo prima chiarirci su ciò che intendiamo per sistema complesso: “più sono le informazioni necessarie a descrivere in modo esauriente un sistema, più lo definiamo complesso.” Se si potesse descrivere completamente un sistema con quattro frasi, esso sarebbe semplice. Al contrario, se ci volessero migliaia di pagine per descriverlo, si tratterebbe di un sistema complesso.

Quanto è complesso il sistema che state gestendo? Di quante pagine avete bisogno per descrivere ogni parte di ogni processo, le relazioni con ogni cliente, ecc.? 

Non è una novità che tutte le imprese, anche le più piccole, siano estremamente complesse. Tanto meno è una novità che sia difficile gestire un sistema complesso.

E allora come possiamo gestire un sistema complesso? Lo dividiamo in sottosistemi. Ogni sottosistema è, per definizione, meno complesso del sistema originario. Se avete qualche perplessità nell’ammettere che ciò è precisamente quello che si fa, date un’occhiata al vostro organigramma.
Dividere un sistema in sottosistemi ha il suo prezzo. Ci porta a perdere la sincronizzazione tra le parti; ci porta a dannose ottimizzazioni locali e, in vari casi, alla dannosissima mentalità di funzione. Poiché i nostri sistemi sono incredibilmente complessi, sembra che l’unica cosa che sia possibile fare per migliorare sia minimizzare i prezzi; fare il possibile per migliorare la sincronizzazione, ed incoraggiare una migliore collaborazione tra i sottosistemi.

Finché consideriamo questa come unica opzione, avremo l’impressione che il conseguire un miglioramento significativo nei profitti in un tempo relativamente breve sia una rarità.

Avremo l’impressione che portare l’impresa ad avere, in meno di quattro anni, un’utile pari all’attuale livello di fatturato sia una cosa non realizzabile.

Per comprendere il reale potenziale di un’impresa è necessario ragionare in modo più profondo sul concetto di complessità. Ciò che infastidisce la maggior parte di noi è il fatto che una parte delle informazioni che caratterizza il nostro sistema non ha a che fare con un unico componente del sistema stesso, ma con le relazioni tra due o più componenti. In altre parole, la cosa che rende il nostro sistema difficile da gestire è che ciò che viene fatto in una determinata parte ha ramificazioni in altre parti; le relazioni di causa ed effetto fanno sì che il sistema assomigli a un labirinto.

Ma ciò rende disponibile la chiave della soluzione.
Pensate nella logica seguente.
Esaminate un dato sistema e chiedetevi, qual è il minimo numero di punti su cui occorre agire per avere un impatto sull’intero sistema? Se la risposta è “dieci punti”, allora abbiamo a che fare con un sistema difficile da gestire, esso ha troppi gradi di libertà. È come cercare di gestire un gruppo di gatti selvaggi. Ma, se la risposta è “solo un punto”, il sistema ha un solo grado di libertà, ed è facile da gestire.
Ora, siete d’accordo sul fatto che più sono le interdipendenze esistenti tra i vari componenti di un sistema e meno gradi di libertà esso possiede? Considerando l’enorme complessità del vostro sistema, da quanto sopra si deduce che ci devono essere solo pochissimi elementi che ne governano il funzionamento. In altre parole, più un sistema è complesso, più profonda è la sua semplicità intrinseca.
Per ottenere vantaggi dalla semplicità intrinseca dobbiamo essere in grado di individuare i pochi elementi che governano il sistema. Inoltre, se ci chiariamo sulle relazioni di causa ed effetto tra tali elementi e tra tutti gli altri elementi del sistema, possiamo gestirlo in modo da ottenere un livello di prestazione di molto migliore.
Questi pochi elementi, che determinano il livello di prestazione del sistema, sono i suoi vincoli.

Ciò implica che i vincoli sono anche le leve gestionali del sistema. Da qui il nome che Goldratt ha scelto per descrivere questo approccio – la Teoria dei Vincoli (Theory of Constraints – TOC).

Venti anni fa Goldratt ha dimostrato l’efficacia dell’approccio TOC nei sistemi produttivi (stabilimenti di produzione) nel libro The Goal. Poi ha esteso la dimostrazione ai contesti di progetto nel libro Critical Chain. I concetti di marketing e di strategia delle imprese sono trattati in It’s Not Luck.

Se avete letto uno qualsiasi di questi libri, probabilmente sarete d’accordo che le conclusioni a si arriva sono frutto del puro buon senso, anche se contraddicono la pratica comune. Inoltre, se siete uno dei tanti managers che nella realtà hanno tradotto i consigli in pratica avete esperienza di prima mano riguardo agli impressionanti miglioramenti e al tempo sorprendentemente breve in cui li avete conseguiti.

Tuttavia, è possibile una Viable Vision per la vostra impresa? È credibile portare la vostra impresa ad avere, in meno di quattro anni, un utile pari all’attuale livello delle vendite?
Gli ostacoli sembrano insormontabili. Per esempio: è ovvio che un tale salto nei profitti è impossibile senza un enorme aumento delle vendite. Un enorme aumento delle vendite può essere conseguito solo se l’impresa potrà disporre di nuove offerte che saranno non rifiutabili dai suoi mercati.

Possono esistere offerte di questo tipo? È possibile che le
imprese siano in grado di tener fede a tali offerte? Quali investimenti saranno necessari? E anche nel caso tutto questo sia possibile, il management è in grado di implementare e sostenere tale cambiamento?

In queste due pagine (pochi minuti) non siamo in grado di rispondere a queste domande (e a tante altre). Ma se vi unite a noi per un giorno penso che possiate avere un numero sufficiente di risposte convincenti da condividere la nostra proposta di business.

lunedì 24 agosto 2015

Di cosa ha bisogno oggi l’impresa per continuare a crescere e rimanere con successo sul mercato?



Di cosa ha bisogno oggi l’impresa per continuare a crescere e rimanere con successo sul mercato?

Ognuno ha la sua risposta. 
Gli esperti di Qualità vi risponderanno che quel che serve è un sistema certificato. 

Alcuni produttori e integratori di tecnologia vi proporranno l’ultimo gestionale integrato. 

Le società di consulenza strategica vi parleranno dell’eccellenza della loro metodologia organizzativa. 
Le agenzie di comunicazione vi convinceranno dell’importanza del miglioramento delle relazioni con gli stakeholder e del rafforzamento del brand.

Noi siamo convinti che tutto questo non vi serva a nulla…a meno che sappiate come combinare e declinare tutto ciò in autentica creazione del valore.  

Perché la tecnologia, le riorganizzazioni radicali e spesso traumatiche, i lunghi processi per ottenere la targa ISO 9XXX, la visibilità sui Media non servono a nulla se a monte non vi è un progetto, una strategia per la creazione del valore. 

E il valore – quel che più conta - è una cosa che non può essere confinata (o confusa) con il raggiungimento dell’eccellenza, della best performance in un singolo componente del sistema azienda. 

Il valore deve essere globale e al suo raggiungimento concorrono tutti i soggetti interni ed esterni che ruotano nell’orbita dell’azienda. Tutti insieme. Un’unica falla nella catena, la trasforma inevitabilmente in un fragile spago.

Ma cosa intendiamo per creazione del valore?

Intendiamo un concetto che non è fisso e immutabile nei tempi, ma che sicuramente in questi nostri tempi può nascere solo ed esclusivamente dall’instaurazione di relazioni win-win tra tutte le parti in grado di contribuire al successo dell’azienda. 

La cosiddetta globalizzazione, infatti, ha messo in evidenza senza più possibilità di dubbio che ogni azienda opera all’interno di un sistema, cioè di un insieme di interconnessioni. E, anche grazie all’evoluzione delle tecnologie delle comunicazioni, la velocità con cui gli effetti di un’azione si propagano lungo tutto l’insieme è elevatissima. Solo le imprese che riescono a governare e sfruttare queste interconnessioni e questa velocità possono continuare a crescere.

Il valore è, dunque, una questione di relazioni

Sia all’interno – tra i dipendenti e tra questi e il management – sia all’esterno, tra imprese (partner ma anche concorrenti in taluni casi) convinte che fare sistema sia la formula vincente. 

Fare sistema per uscire dall’isolamento e dalla vecchia logica della competitività come annientamento dei concorrenti a qualsiasi prezzo, dell’efficienza come pura riduzione dei costi comprendente drastici tagli del personale e imposizione di tariffe e condizioni insostenibili ai fornitori. 

Fare sistema per abbracciare con coraggio le opportunità inedite offerte dalla co-petizione. 

Fare sistema per arrivare dove da soli non si potrebbe. Fare sistema, infine, perché alla domanda che ci siamo fatti all’inizio, oggi più di sempre, non c’è un’unica risposta.

Perché il successo dell’azienda non può nascere da un sistema certificato per la qualità se la qualità non è una filosofia abbracciata e compresa da tutte le parti. 

Non può nascere dalla visibilità presso gli interlocutori ottenibile grazie alle relazioni pubbliche se poi su tale visibilità non si sa capitalizzare attraverso il mantenimento e la cura nel tempo delle relazioni che si sono venute a creare. 

Non può nascere dall’efficienza del sistema informativo se questo sistema è stato calato dall’alto, senza il coinvolgimento strategico dei responsabili tecnici e il feedback degli utilizzatori finali. Perché, infine, nessun prodotto, anche il migliore, esiste e ha successo sul mercato se viene sviluppato senza tenere conto dei bisogni e delle richieste reali di quel mercato a cui vorrebbe rivolgersi.

La logica della creazione del valore e del fare sistema in cui noi crediamo è la logica che ci piace definire dell’E-E, contrapposta a quella più nota dell’O-O, che crede che una cosa (strategia, prodotto, iniziativa promozionale) si possa fare “O” così “O” così; che per raggiungere un obiettivo di business serva “O” questo “O” quello. Noi invece crediamo che OGNI cosa si possa fare così “E” anche così e che al raggiungimento di ogni obiettivo concorrano fattori diversi, ugualmente importanti e fra loro sempre correlati.

Se proprio volessimo tentare di schematizzare questi fattori, potremmo riassumere ciò che oggi è indispensabile a un’azienda per esistere sul mercato in questi pochi punti:
-          organizzazione efficiente e motivata in ogni sua parte in grado di sfruttare al massimo della capacità ogni suo componente
-          innovazione costante
-          visibilità sul mercato (e quindi capacità di promuoversi)

 
Come realizzare tutto ciò? Affidatevi a un metodo, il mio preferito: la TOC - theory of constraints? Volete saperne di più? Scrivetemi.