Probabilmente il modo migliore di spiegare
quello che intendiamo con Viable Vision è citare la frase contenuta in una
lettera inviata da Eli Goldratt ai top manager delle aziende americane: “Quando
si svolgo l’analisi di un’impresa, ci si può ritenere in qualche modo
soddisfatto solo se si vedono chiaramente la possibilità di portare l’impresa
ad avere, in meno di quattro anni,
un’utile pari all’attuale livello di fatturato”.
Conoscendo la reazione della maggior parte
delle persone a tale dichiarazione, la frase successiva era: “Stiamo anche
molto attenti a non fare partecipi delle nostre aspettative il top management;
essi le considererebbero una indicazione decisiva del fatto che le soluzioni
proposte non sono realistiche”.
Durante il 2003 è stata testata la reazione dei top managers al
concetto di Viable Vision. Nel far ciò si è posta grande attenzione
nell’esporre le ragioni per cui c’è la convinzione che tale “visione”, apparentemente incredibile, si possa
conseguire. Abbiamo iniziato condividendo la diagnosi su cosa blocca
attualmente una migliore prestazione della loro impresa.
Sulla base di ciò,
utilizzando in modo rigoroso la logica di causa ed effetto, si sono dedotte le azioni concrete da
intraprendere per rimuovere il blocco. Poi si sono dettagliati i passi da
intraprendere per capitalizzare tale innovazione; i passi che permetteranno
all’impresa di avere, in meno di quattro anni, un utile pari alle vendite
attuali annue.
A questo punto, la prima reazione dei top
managers è stata: “Questo sì che è buon senso, che aspettiamo a metterlo in
pratica?”
Perché non ci hanno mai pensato prima? Per
quale motivo è opinione comune che, a meno che l’impresa produca un solo
prodotto o che sia molto piccola, non è realistico aspettarsi un tale
incremento dell’utile? Per quale motivo, sebbene sia possibile costruire una
“Viable Vision” per più della metà delle imprese esistenti, l’opinione
prevalente è che ciò sia impossibile?
La risposta a ciò dipende dal fatto che la
maggior parte delle persone non è consapevole che qualsiasi sistema complesso
sia basato su una propria semplicità intrinseca.
Capitalizzare sulla semplicità intrinseca è
ciò che rende possibili miglioramenti straordinari entro breve tempo.
Cosa si intende per “semplicità intrinseca”?
Per spiegare il concetto dobbiamo prima
chiarirci su ciò che intendiamo per sistema complesso: “più sono le
informazioni necessarie a descrivere in modo esauriente un sistema, più lo
definiamo complesso.” Se si potesse descrivere completamente un sistema con
quattro frasi, esso sarebbe semplice. Al contrario, se ci volessero migliaia di
pagine per descriverlo, si tratterebbe di un sistema complesso.
Quanto è complesso il sistema che state
gestendo? Di quante pagine avete bisogno per descrivere ogni parte di ogni
processo, le relazioni con ogni cliente, ecc.?
Non è una novità che tutte le imprese, anche le più
piccole, siano estremamente complesse. Tanto meno è una novità che sia
difficile gestire un sistema complesso.
E allora come possiamo gestire un sistema
complesso? Lo dividiamo in sottosistemi. Ogni sottosistema è, per definizione,
meno complesso del sistema originario. Se avete qualche perplessità nell’ammettere che ciò è
precisamente quello che si fa, date un’occhiata al vostro organigramma.
Dividere un sistema in sottosistemi ha il suo
prezzo. Ci porta a perdere la sincronizzazione tra le parti; ci porta a dannose
ottimizzazioni locali e, in vari casi, alla dannosissima mentalità di funzione.
Poiché i nostri sistemi sono incredibilmente complessi, sembra che l’unica cosa
che sia possibile fare per migliorare sia minimizzare i prezzi; fare il
possibile per migliorare la sincronizzazione, ed incoraggiare una migliore
collaborazione tra i sottosistemi.
Finché consideriamo questa come unica opzione,
avremo l’impressione che il conseguire un miglioramento significativo nei
profitti in un tempo relativamente breve sia una rarità.
Avremo l’impressione che portare l’impresa ad
avere, in meno di quattro anni, un’utile pari all’attuale livello di fatturato
sia una cosa non realizzabile.
Per comprendere il reale potenziale di
un’impresa è necessario ragionare in modo più profondo sul concetto di
complessità. Ciò che infastidisce la maggior parte di noi è il fatto che una
parte delle informazioni che caratterizza il nostro sistema non ha a che fare
con un unico componente del sistema stesso, ma con le relazioni tra due o più
componenti. In altre parole, la cosa che rende il nostro sistema difficile da
gestire è che ciò che viene fatto in una determinata parte ha ramificazioni in
altre parti; le relazioni di causa ed effetto fanno sì che il sistema assomigli
a un labirinto.
Ma ciò rende disponibile la chiave della
soluzione.
Pensate nella logica seguente.
Esaminate un dato sistema e chiedetevi, qual
è il minimo numero di punti su cui occorre agire per avere un impatto
sull’intero sistema? Se la risposta è “dieci punti”, allora abbiamo a che fare
con un sistema difficile da gestire, esso ha troppi gradi di libertà. È come
cercare di gestire un gruppo di gatti selvaggi. Ma, se la risposta è “solo un
punto”, il sistema ha un solo grado di libertà, ed è facile da gestire.
Ora, siete d’accordo sul fatto che più sono
le interdipendenze esistenti tra i vari componenti di un sistema e meno gradi
di libertà esso possiede? Considerando l’enorme complessità del vostro sistema,
da quanto sopra si deduce che ci devono essere solo pochissimi elementi che ne
governano il funzionamento. In altre parole, più un sistema è complesso, più
profonda è la sua semplicità intrinseca.
Per ottenere vantaggi dalla semplicità
intrinseca dobbiamo essere in grado di individuare i pochi elementi che
governano il sistema. Inoltre, se ci chiariamo sulle relazioni di causa ed
effetto tra tali elementi e tra tutti gli altri elementi del sistema, possiamo
gestirlo in modo da ottenere un livello di prestazione di molto migliore.
Questi pochi elementi, che determinano il
livello di prestazione del sistema, sono i suoi vincoli.
Ciò implica che i vincoli sono anche le leve
gestionali del sistema. Da qui il nome che Goldratt ha scelto per descrivere
questo approccio – la Teoria dei Vincoli (Theory of Constraints – TOC).
Venti anni fa Goldratt ha dimostrato
l’efficacia dell’approccio TOC nei sistemi produttivi (stabilimenti di produzione) nel libro The Goal. Poi ha
esteso la dimostrazione ai contesti di progetto nel libro Critical Chain. I
concetti di marketing e di strategia delle imprese sono trattati in It’s Not
Luck.
Se avete letto uno qualsiasi di questi libri,
probabilmente sarete d’accordo che le conclusioni a si arriva sono frutto del
puro buon senso, anche se contraddicono la pratica comune. Inoltre, se siete
uno dei tanti managers che nella realtà hanno tradotto i consigli in pratica
avete esperienza di prima mano riguardo agli impressionanti miglioramenti e al
tempo sorprendentemente breve in cui li avete conseguiti.
Tuttavia, è possibile una Viable Vision per
la vostra impresa? È credibile portare la vostra impresa ad avere, in meno di
quattro anni, un utile pari all’attuale livello delle vendite?
Gli ostacoli sembrano insormontabili. Per
esempio: è ovvio che un tale salto nei profitti è impossibile senza un enorme
aumento delle vendite. Un enorme aumento delle vendite può essere conseguito solo se l’impresa potrà
disporre di nuove offerte che saranno non rifiutabili dai suoi mercati.
Possono esistere offerte di questo tipo? È
possibile che le
imprese siano in grado di tener fede a tali
offerte? Quali investimenti saranno necessari? E anche nel caso tutto questo
sia possibile, il management è in grado di implementare e sostenere tale
cambiamento?
In queste due pagine (pochi minuti) non siamo
in grado di rispondere a queste domande (e a tante altre). Ma se vi unite a noi
per un giorno penso che possiate avere un numero sufficiente di risposte
convincenti da condividere la nostra proposta di business.
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