Nell'episodio 1 abbiamo mostrato quale approccio alla produzione è stato sviluppato dalla TOC (teoria dei constraint) e quali risultati ha prodotto.
In questo - episodio 2 - si discuterà delle barriere che si oppongono al cambiamento in ambito produttivo e di come la TOC può essere utilizzata per superarle.
Quando si tenta di
mettere in pratica questo approccio, ci si trova di fronte un conflitto, quasi
inevitabilmente. Le misure che comunemente vengono utilizzate dal management
per valutare le prestazioni di un impianto fanno a pugni con la necessità di
soddisfare i requisiti dei clienti. Il management trova molto difficile
subordinare le azioni al conseguimento dell’obiettivo (cioè sul constraint),
cercando di prestare uguale attenzione alle mille difficoltà e problemi che si
presentano ogni giorno nell’impianto; l’assunto che sostiene che questo
atteggiamento è esprimibile così: per ottenere l’ottimo globale occorre
raggiungere tutta una serie di ottimi locali.
La situazione di
questa categoria di manager è rappresentabile da questo piccolo albero della
realtà corrente (nell’albero della realtà corrente ogni blocco è connesso a uno
o più blocchi da relazione di sufficienza e/o necessità – dove si vede un
ellisse -, l’albero si legge a partire dal basso, per esempio i blocchi 10, 50
e 15 si leggono così: se la gran parte dei manager gestisce gli impianti
cercando di raggiungere ottimi locali allora ottenere un elevata efficienza
locale è importante per i manager e i manager non sono completamente padroni
dell’approccio TOC alla produzione…). L’albero della corrente è uno degli
strumenti di pensiero sistemico ideati da Goldratt per supportare il cosiddetto
POOGI (process of ongoing improvement – processo di miglioramento continuo)
Il conflitto che
c’è alla base di questa situazione è rappresentabile con la nuvola (la nuvola è
il meccanismo con il quale nella TOC si rappresentano i conflitti tra due
posizioni) qui sotto riportata.
Questo conflitto si regge su di un assunto preciso, che possiamo anche riformulare dicendo che solo raggiungendo la massima efficienza di ogni macchina è possibile consegnare quanto i clienti ci hanno ordinato. I risultati non propriamente positivi che si raggiungono perseguendo l’efficienza di solito vengono attribuiti ad una serie di cause:
·
i clienti cambiano idea di frequente
·
i venditori promettono sempre tempi di
consegna istantanei
·
ci sono problemi di assenteismo nel
personale
·
il personale non ha gli skill
necessari
·
i processi sono affetti da scarsa
affidabilità
·
le macchine si rompono quando meno se
lo si aspetta
·
la qualità dei prodotti non è il
massimo
·
i dati che vengono forniti al
management sono poco accurati
·
il management non sempre può adottare
le politiche che vorrebbe
Tutte queste cause
sono vere, ma, purtroppo per chi deve gestire gli impianti, non sono il
problema centrale.
Tutte queste cause
sono vere, ma, purtroppo per chi deve gestire gli impianti, non sono il
problema centrale.
Nell’approccio TOC
(drum buffer rope) il focus si sposta da domande del tipo: Com’è l’efficienza
delle macchine, e quella delle persone, quanti setup si fanno, quanto grandi
facciamo i lotti di produzione, e quelli di trasferimento? A tenere
costantemente sotto controllo il buffer, di modo che ci si possa accorgere in
tempo se il constraint rischia di rimanere senza materiale da processare.
Cos’è il buffer
management? Dividiamo idealmente il buffer, che come sappiamo è espresso in
tempo, in 3 zone di uguale dimensione:
In zona verde se il
materiale è in ritardo devo solo verificare che arrivi, in zona gialla comincio
a preoccuparmi del materiale in ritardo e si farà un po’ di expediting. Se si è
in zona rossa (quindi molto vicini al momento in cui il materiale deve essere
pronto) e il materiale è in ritardo, ci si ritrova con un buco (di produzione)
Gli impianti o per meglio dire i processi
produttivi possono essere catalogati in 4 fondamentali tipologie: impianto ad
A, a T, a V a I.
Ogni "stabilimento" è in effetti
costituito da un mix particolare di una o più di queste 4 tipologie base.
Nel gergo della TOC
(Teoria dei constraints) con il termine UDE (undesiderable effect) si indicano
i problemi, quelle cose che disturbano il buon andamento di una qualsiasi
realtà produttiva (sia esso uno stabilimento, che un ufficio viaggi). Questi
"effetti indesiderabili" sono i sintomi di un problema più profondo e
difficile da superare (che in gergo TOC si chiama core problem); un po' come la
febbre è un sintomo di una qualche malattia. E come ogni buon medico sa,
combattere i sintomi è sicuramente importante (specie quando la febbre è alta)
ma è inutile se non si rimuove la "malattia"; una corretta diagnosi è
la premessa indispensabile per una buona terapia. Il grande pregio del core
problem è che essendo connesso logicamente a tutti gli UDEs, se lo si elimina
si possono eliminare tutti gli UDEs.
La TOC mette a disposizione
uno strumento potente con il quale si possono rappresentare tutti gli UDEs di
una determinata realtà e quindi derivarne il core problem. Questo strumento si
chiama CRT - current reality tree (albero della realtà corrente). In questo
contesto non entreremo nel merito di come si costruisce ma ci limiteremo a
descriverlo brevemente per essere in grado di leggere alcuni CRT che
rappresentano la realtà delle
tipologie base di impianti.
Il CRT è un
diagramma nel quale ogni UDE, rappresentato da un box, è connesso logicamente
con uno o più altri UDE. Una volta derivato nel CRT è rappresentato anche il
core problem; è riconoscibile perché è il box a cui, direttamente o
indirettamente sono connessi tutti gli altri box.
Poter descrivere le
problematiche comuni (UDEs) delle tipologie di base degli impianti attraverso
un CRT consente di focalizzare rapidamente l'attenzione sul core problem e
quindi di (avendo una corretta diagnosi) impostare la soluzione.
·
ci sono poche materie
prime/semilavorati che danno origine a un grande numero di prodotti finiti; in
ogni stadio del processo un “prodotto” dà origine a molti prodotti.
·
tutti I prodotti sono realizzati nella
stessa maniera e condividono delle risorse comuni
·
ci sono punti di divergenza nel flusso
produttivo; dopo una lavorazione non si può tornare indietro (se si sbaglia non
si può né riutilizzare né rilavorare)
In molti casi gli
impianti a V sono ad alta densità di capitale con macchinari specializzati.
Quali sono gli UDEs, i problemi, che si
trovano generalmente in un impianto a V? Elenchiamone un po’:
1.
i piani di produzione spesso subiscono
variazioni;
2.
non sempre è possibile stabilire la
convenienza di accettare/rifiutare un ordine;
3.
esistono conflitti tra le richieste
dell’ufficio vendite e le disponibilità della produzione;
4.
lunghi tempi di attrezzaggio;
5.
il tempo di attrezzaggio di una
macchina non è sempre “economicamente giustificato” dall’utilizzo della
macchina stessa;
6.
il fermo macchina per l’attrezzaggio
rappresenta un costo elevato;
7.
non è sempre possibile produrre in
grandi lotti;
8.
pur massimizzando l’efficienza delle
macchine non sempre siamo in grado di evitare ritardi nelle consegne.
9.
la qualità delle materie prime è molto
disomogenea ;
10. le
materie prime rilasciate al processo per soddisfare un determinato ordine hanno una bassa probabilità di
completare questo ordine, probabilità che è tanto più bassa quanti più punti di
divergenza ci sono nel sistema
11. se
un prodotto può risparmiare un setup e vengono prese misure che rinforzano
questo comportamento la materia prima attraversa questo processo
12. I
prodotti tendono a dirigersi dove I risultati sono migliori (risultati come
tonnellate al giorno, unità all’ora, cioè più prodotti per unità di tempo)
L’effetto
complessivo di tutte queste cose è la cattiva allocazione dei materiali,
aspettiamoci di vedere mucchi di cose (che non si muovono) e piccole quantità
di cose (che si muovono), l’ordine di grandezza dei problemi dipende dal
sistema d incentivi che viene utilizzato nell’azienda.
I problemi generati
da questa realtà, esistono contemporaneamente e non è sufficiente eliminarne
uno per migliorare significativamente i risultati aziendali.
Questi problemi,
gli effetti indesiderabili presenti nella nostra realtà, sono spesso originati
da una causa comune, da un problema centrale; questo, a volte, non è
immediatamente visibile, è piuttosto da ricercarsi nella relazione che esiste
tra gli effetti indesiderabili.
Questo avviene a
causa della natura squisitamente sistemica delle organizzazioni. Infatti una
organizzazione è una rete di elementi interdipendenti che interagiscono tra
loro per il raggiungimento di un obiettivo comune. Tale natura sistemica fa si
che agendo su una parte dell'organizzazione si producono effetti su tutto
l’insieme.
Il disegno
seguente, un albero della realtà corrente costruito sul conflitto fondamentale,
mostra tutte queste interconnessioni in modo semplice e intuitivo
Il secondo albero
che presentiamo affronta il tema della misurazione delle prestazioni. Mostra in
sostanza come l’avere adottato dei sistemi di misura centrati sull’efficienza
locale determini l’accadere di una miriade di effetti indesiderabili. L’albero
si riferisce al settore dell’acciaio, ma è generalizzabile per tutti i settori
dove gli impianti hanno una forma a V.
Proviamo a leggerlo
insieme.
Si
parte con la constatazione che nell’industria dell’acciaio, ogni reparto è
valutato in base alla quantità di tonnellate processate per ora. La misura
tonnellate/ora è la misura operativa principale (500)
Sappiamo
tutti che le persone si comportano conformemente al modo in cui sono misurate
(510) e quindi nell’industria dell’acciaio, non c’è da stupirsi se i reparti
cercano di ottimizzare il loro rendimento in termini di tonnellate/ora (515)
Questa
conclusione dove ci porta? Presa in se stessa potrebbe essere sensata ma se la
mettiamo in relazione con altri fenomeni che si verificano in questo tipo di industria
scopriamo che non è così.
Infatti:
in quasi tutti reparti la lavorazione di alcuni pezzi richiede meno tempo per
tonnellata rispetto ad altri (520). Per esempio, produrre 10 tonnellate di
lastre spesse 2 pollici richiede assai meno tempo che produrre 10 tonnellate di
lastre spesse 1/2 pollice
Ne
risulta che: per ottimizzare la quantità di tonnellate/ora prodotte in un dato
periodo, i reparti tendono a produrre i pezzi più “veloci” spendendo gli stessi
soldi che occorrono per produrre i pezzi “lenti”(540).
La
conclusione è facilmente immaginabile: grandi scorte di pezzi “veloci”, perdita
di ordini sui pezzi “lenti”.
Se
guardiamo ad un altro aspetto del problema vediamo che nell’industria
dell’acciaio, in ogni reparto i tempi di setup sono significativi e, come
sappiamo, il setup riduce la quantità di tonnellate/ora (525), infatti mentre
si fa il setup la produzione è = 0 (530). Di conseguenza, per ottimizzare il
rendimento in termini di tonnellate/ora, i reparti tendono a dare la precedenza
agli ordini che permettono di aumentare la dimensione dei lotti (550)
Anche
in questo caso: grandi scorte inutili, inaffidabilità rispetto ai tempi di
consegna.
Per
un reparto, la situazione peggiore è l’inattività -non produrre = 0
tonnellate/ora (525). Non c’è da meravigliarsi che, per ottimizzare il
rendimento in termini di tonnellate/ora, i reparti tendano a produrre scorte
anche quando non ci sono richieste di mercato nel breve-medio periodo (545),
producendo scorte in eccesso.
Ma
il vero killer si profila all’orizzonte... Negli impianti a V, il processo
produttivo è caratterizzato da divergenza di prodotti ad ogni stadio della
produzione (560). Se mettiamo in relazione quest’affermazione con i fenomeni
che abbiamo descritto in precedenza (enunciati 540, 545 e 550), cosa otteniamo?
Per
ottimizzare il proprio rendimento in termini di “tonnellate/ora” i reparti
tendono a intraprendere azioni che si risolvono poi in “furto” di materiale a
scapito degli ordini
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