martedì 7 gennaio 2014

La squadra aziendale e la Teoria dei Constraints di Tony Rizzo


Sembra che tutti siano d’accordo nel dire che il lavoro di squadra è una buona idea. Sicuramente ci credono sia i presidenti che gli allenatori delle squadre sportive (Inter fa eccezione ndr) . E, senza dubbio, ci credono anche i dirigenti ed i manager di molte delle grandi aziende americane. Le persone migliorano in efficacia quando lavorano in team rispetto a come si comportano quando sono individui isolati. Le persone che hanno un obiettivo comune pensano che lavorare in team sia molto vantaggioso.

Ma cosa possiamo dire quando parliamo delle aziende? Se il lavoro di squadra è una idea formidabile per i singoli individui, non può essere una buona idea applicarlo alle organizzazioni? Dopo tutto, le aziende non possono essere viste come somma di gruppi organizzati? Secondo la Teoria dei Constraints possiamo considerarle in questo modo. L’ufficio commerciale può realizzare una vendita, ma senza la cooperazione del magazzino il cliente non riceverà mai la merce. Senza la collaborazione della produzione non ci sarebbero prodotti da vendere. Senza l’opportuno contributo dei progettisti, la produzione non avrebbe nulla da costruire. Allora, creare un lavoro di squadra tra gli organismi che formano una azienda non solo è una cosa desiderabile, ma è una condizione assolutamente necessaria per avere successo.

Ma, se ci possono essere similitudini tra le squadre sportive professioniste e le aziende, ci sono anche delle differenze. Nel caso della azienda, nessuno resta in panchina. Non ci sono giocatori di riserva. L’azienda comprende solo quegli organismi che gli sono assolutamente necessari per competere con successo. Ad esempio, non ci sono uffici vendite alternativi che restano in attesa di entrare in gioco quando si presenta l’opportunità. Come non ci sono impianti di produzione di riserva che aspettano di essere messi in funzione. Una azienda competitiva include solo quegli organismi che gli sono necessari e sufficienti al fine di competere con successo, perché il costo di avere sostituti sarebbe un fardello insopportabile per il resto della squadra.

Questo è un problema? Di solito no, non è un problema. Comunque non ci sono alternative nell’avere solo i giocatori necessari. Ma se l’azienda di successo ha solo le risorse necessarie e sufficienti per lo svolgimento della sua attività, che cosa succede se anche una sola di queste risorse non fa la sua parte? Per la Teoria dei Constraints, la risposta più ovvia è anche quella corretta. L’intero team, l’azienda, fallisce nel proprio intento.

Per questa ragione, la Teoria dei Constraints ci dice che la misura con cui si valuta ciascun membro di qualunque organismo che compone l’azienda deve essere basata sul contributo che l’organismo stesso fornisce al raggiungimento dei risultati aziendali. Ad esempio, consideriamo l’effetto di giudicare le prestazioni di uno stabilimento sulla base dei chilogrammi di prodotto che lo stabilimento produce, senza considerare se sta producendo il mix corretto di prodotti. Molto probabilmente lo stabilimento riesce a lavorare a pieno regime. Se rispettiamo questo metodo di misura per la valutazione, lo stabilimento apparirà eccellente non appena produrrà a tutto spiano. Allora questa organizzazione misurata in questo modo distorto, non troverà nulla di sbagliato nel riempire i magazzini della azienda a cui appartiene di prodotti anche se non sono richiesti dai clienti, l’importante sarà produrre a pieno regime. Nel contempo parecchi ordini dei clienti resteranno inevasi, perché i prodotti necessari non sono realizzati nelle giuste quantità. Questa organizzazione non potrà essere tollerata a lungo, perché le sue prestazioni inappropriate distruggono la profittabilità dell’intera azienda.

Al contrario, consideriamo gli effetti di legare il premio per le prestazioni della nostra fabbrica al valore (per l’azienda che la possiede) delle vendite che questo stabilimento contribuisce a far raggiungere all’intera azienda. Consideriamo, anche, l’effetto derivante dal sottrarre dalla misura di valutazione delle prestazioni il valore delle vendite che hanno generato richieste di interventi in garanzia, così come il valore dell’invenduto o delle materie prime in giacenza. 
Non avremmo così una fabbrica motivata a produrre solo quanto richiesto dai clienti e quando lo chiedono i clienti? Probabilmente si. 
Non avremmo così una fabbrica motivata a produrre solo prodotti qualitativamente competitivi? Probabilmente si. 

Le prestazioni di una simile organizzazione del lavoro inciderebbero sulle prestazioni dell’intera azienda in modo negativo oppure in modo così positivo al punto di migliorarle? È più che certo che le prestazioni dell’intera azienda migliorerebbero, perché la misura di valutazione delle proprie prestazioni sarebbe direttamente connessa alle prestazioni dell’intera azienda. Lo stabilimento subirebbe ripercussioni negative se l’intera azienda conseguisse risultati negativi. Allo stesso modo lo stabilimento lavorerebbe bene se aiutasse l’azienda a ottenere risultati.

La Teoria dei Constraints ci dice dunque che dobbiamo pensare l’azienda non come un insieme di reparti che agiscono individualmente ma come una fitta trama di organismi che hanno l’obiettivo comune di far sì che sia l’azienda a vincere. Se ci fermiamo a pensare un attimo, la Teoria dei Constraints è poco più che buon senso (questa frase non tragga in inganno, il "poco più" del buon senso è comunue una radicale tarsformazione rispetto al modello tradizionale - ndr). 
Ma dobbiamo considerare proprio questo, dobbiamo capire che è questo tipo di buon senso che fa la differenza tra un futuro sorridente ed una marcia forzata verso la rovina.

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